lunedì 14 novembre 2016

Attilio Bertolucci e Pere Gimferrer

BERNARDO A CINQUE ANNI

Il dolore è nel tuo occhio timido
nella mano infantile che saluta senza grazia,
il dolore dei giorni che verranno
già pesa sulla tua ossatura fragile.

In un giorno d’autunno che dipana
quieto i suoi fili di nebbia nel sole
il gioco s’è fermato all’improvviso,
ti ha lasciato solo dove la strada finisce

splendida per tante foglie a terra
in una notte, sì che a tutti qui
è venuto un pensiero nella mente
della stagione che s’accosta rapida.

Tu hai salutato con un cenno debole
e un sorriso patito, sei rimasto
ombra nell’ombra un attimo, ora corri
a rifugiarti nella nostra ansia.

da Le poesie, Garzanti 1990


commento di Pere Gimferrer

UNA SERA D’AUTUNNO

Conosciamo tutti le visioni del paesaggio italiano degli ultimi giorni di guerra. Più che dai cinegiornali, molti di noi le conoscono da certe immagini che, per qualche oscuro motivo, sembrano più vere di qualunque notiziario: immagini grigiastre, contrastate, nel bianco e nero forte, ruvido delle prime pellicole neorealiste di Rossellini. La gelida quiete dei campi silenziosi sotto un cielo rannuvolato o un sole glorioso, il silenzio diguazzante dell’acqua tra i giunchi e la mitraglia nelle strade – come in una poesia di Salvatore Quasimodo: “…quel geranio acceso / su un muro crivellato di mitraglia” –, lo sfregamento cupo del cuoio e i calci dei fucili, tra ombre e rovine. Tutto questo ci passa negli occhi col rumore piacevole della lontananza: senza dubbio pungente, che ferisce nell’intimo.
Dopo non molto, altre immagini, a colori, sostituirono, o forse resero allegoriche, le vecchie immagini di Rossellini. Adesso erano immagini di violento splendore, immagini di un sogno epico: carri di fieno, attrezzi agricoli, assemblee popolari e fascisti in fuga nel silenzio dei campi. Nella parte inferiore del casale, un uomo invecchiato anzitempo – il padrone – è tenuto prigioniero da un ragazzino con una pistola, come in una stampa d’illustrazione rivoluzionaria. Negli occhi del padrone di casa c’è una stanchezza antica e il capo di quel gruppo di contadini armati gli risparmia la vita, perché – dice – “il padrone è già morto”. Sullo sfondo, al vento della pianura, ondeggia una grande bandiera rossa. Sono le immagini finali di Novecento, il film di Bernardo Bertolucci.  Benché storicamente imprecise, hanno la persistenza irriducibile di un mito filmico, che s’impone con la sua poeticità durante la proiezione.
Ma ora andiamo in Italia. È una sera d’autunno dell’anno seguente la fine della guerra; l’autunno successivo alla sequenza dell’insurrezione in Novecento. L’Italia, ferita e stanca, vive in pace. Quella sera, ci sono fili di nebbia nel chiarore moribondo del sole. Un bambino di cinque anni gioca per strada, al limite dei campi, dove la strada finisce. All’improvviso interrompe il gioco e il padre – un giovane uomo di trentacinque anni – lo lascia solo in quella zona incerta, non più giorno ma non ancora notte, non più strada ma non ancora campo, splendida nel silenzio delle foglie morte. In quella calma, si sente il gelo d’una presenza torbida: l’arrivo della notte, la caduta della stagione nel freddo e nell’oscurità, un crepuscolo del giorno e dell’anno che annuncia il crepuscolo della vita. Solo, tra le foglie morte, nell’oscurità, sul limitare della strada, il bambino ora muove la mano, salutando debolmente, senza grazia. Ha occhi timidi e un sorriso patito. Lascerà presto quella regione d’ombra; è come sorpreso dal presentimento dei dolori che devono venire, e che lo spinge a rifugiarsi dove sono i grandi; anche loro, come lui, deboli e ansiosi in quell’ora indecisa.
Ma tutto ciò non ci ricorda qualche altro film? Sì, probabilmente ci ricorda la lontana tristezza, di paradiso perduto, impossibile e già amaro, delle prime immagini de La Luna, quando s’alza in cielo – sul pallore d’una strada bianca, mentre fa notte – il grande chiarore lunare, lattiginoso e svanito, di un autunno irreale. Quel bambino de La Luna, non è lo stesso che giocava ai margini della strada, sguazzando nell’oro brunito e stinto delle foglie morte? Quel bambino, anni dopo, sognerà con le immagini epiche di Novecento. Il bambino si chiama Bernardo Bertolucci; è suo padre, il poeta Attilio Bertolucci, a parlarci, in una poesia, di quella sera d’autunno del primo anno, oscuro e ancora incerto, del dopoguerra italiano. Ora, sentiamo profondamente il freddo di quell’autunno.

Traduzione di Francesco Dalessandro

da Dietario, Seix Barral 1984


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