mercoledì 15 gennaio 2020

Francesco Dalessandro

DIVERGENZE


2.

Vedete mi siedo con voi davanti al bar
mi godo il ritorno
e sorseggio un bicchiere di birra
vi guardo guardarmi
a malapena riconosco i vostri volti ben rasati
no non dite «ben tornato aspettavamo
il tuo ritorno che avventure
avrai da raccontarci dopo tanto
che non ci vediamo!» e non mi domandate
«perché partisti? (e senza salutarci!)
dove sei stato? in che paesi
sconosciuti sei sbarcato? in quali case
hai dormito e fatto l’amore? le donne
erano belle? hai ballato?
hai mai pensato agli amici?
perché non hai mai scritto?
racconta! che impressioni hanno suscitato
in te genti mai viste? e di noi
cosa pensano? sanno che esistiamo?
perché taci? racconta! non vedi
con che impazienza aspettiamo di sapere
qualcosa che ci aiuti a andare avanti?»

(gente morta che ancora passeggia per il mondo)
io non sono il viaggiatore ritornato
      dai confini del mondo
                                               (occhi morti
che non vedono più in là
d’un naso arricciato dal disgusto)
non ho niente da dire
                                        io non vidi che mare
(dopotutto non fui nemmeno curioso come altri)

conobbi solo la frusta del vento
e il fresco d’una fiasca d’acqua
non feci l’amore
nessuna donna mi baciò né amò …
mi masturbai pensando alle puttane
che spiavo dalla finestra quand’ero più ragazzo
altre volte tra le pieghe dell’insonnia s’insinuò
                                      la disperata immagine di lei    
la vecchia ragazza indaffarata
         con i clienti e le riviste ammucchiate
         vicino alle tazzine da caffè –
la pioggia cadenzata contro i vetri
il guaire d’un randagio nella strada sottostante
l’orma del vento
        sui gerani sfioriti del giardino
queste ed altre ragioni mi convinsero a partire
        occhi freddi o carezze più distratte…
tutto questo mi convinse, tutto questo, e il disamore
                                               ma non vidi che mare

di cosa avrei dovuto mai informarvi?

fu in un’alba rigata di condanna
nel tripudio di bandiere al vento
        ci chiamarono ARGONAUTI
partimmo senza meta
col miraggio di facili guadagni
ma una voce sussurrò al nostro cuore
parole che non volemmo ascoltare

«nessun paese sconosciuto da esplorare
né strane e nuove genti da convertire
cerchiamo nessun’ america da inventare
niente di tutto questo
                                       VEDER CHIARO
LA RAGIONE   LA VITA!  
esiste il mondo? esiste
il tempo, la realtà? o la vita è solo   
mutevole apparenza che c’inganna?    
quale mistero   quale destino
quale dio   quale amore»

navigammo senza sosta mesi interi
         direzione ovest sud-ovest
ma non vedemmo che mare interminabile lenzuolo
cupoverde dove il tempo non passava …

NON C’E’ RAGIONE
NON C’E’ NEPPURE VITA
soltanto lo scirocco
che confonde
e lame al neon che tagliano le strade
e questo, tutto questo rumore
che ci uccide!


vi dirò tutto ma le ombre
degli amici morti
le ombre dei compagni
che non hanno fatto più ritorno
di quelli che la morte colse impreparati
e che neppure ebbero tempo di trovare
i pochi spiccioli con cui
pagare il biglietto sulla barca di Caronte
le ombre di coloro che neanche da morti sono giunti
dove Acheronte separa dolore da ignoranza
anch’esse sono qui presenti
le vedo ad una ad una sedute fianco a fianco
rimproverarmi con sguardo corrucciato
di fare dei morti una ragione di vita
quando solo per un caso fortunato
mi è permesso di narrarvi
queste cose di nessun conto

(segue)




Nota. Questo poemetto in tre parti uscì sul Quaderno n. 5 di “Discorso diretto” del 1983; era stato scritto nel decennio precedente e ritoccato in occasione della pubblicazione: risale dunque alla mia giovinezza, reale e poetica. 
Avendolo letto e apprezzato, un’amica e brava poetessa mi ha chiesto di recente perché non lo ripubblicassi. Ho deciso di accontentarla, facendolo qui, durante questa settimana. 

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