O PIÙ CHE ’L GIORNO A ME LUCIDA E CHIARA
O più che ’l giorno a me lucida e chiara,
dolce, gioconda, aventurosa notte,
quanto men ti sperai tanto più cara!
Stelle e furti d’amor soccorrer dotte,
che minuisti il lume, né per vui
mi fur l’amiche tenebre interrotte!
Sonno propizio, che lasciando dui
vigili amanti soli, così oppresso
avevi ogn’altro, che invisibil fui!
Benigna porta, che con sì sommesso
e con sì basso suon mi fusti aperta,
ch’a pena ti sentì chi t’era presso!
O mente ancor di non sognar incerta,
quando abbracciar da la mia dea mi vidi,
e fu la mia con la sua bocca inserta!
O benedetta man, ch’indi mi guidi;
o cheti passi, che m’andate inanti;
o camera, che poi così m’affidi!
O complessi iterati, che con tanti
nodi cingete i fianchi, il petto, il collo,
che non ne fan più l’edere o li acanti!
Bocca, ove ambrosia libo, né satollo
mai ne ritorno; o dolce lingua, o umore,
per cui l’arso mio cor bagno e rimollo!
Fiato, che spiri assai più grato odore
che non porta da l’Indi o da’ Sabei
fenice al rogo in che s’incende e more!
O letto, testimon de’ piacer miei;
letto, cagion ch’una dolcezza io gusti,
che non invidio il lor nettare ai dèi!
O letto donator de’ premi giusti,
letto, che spesso in l’amoroso assalto
mosso, distratto ed agitato fusti!
Voi tutti ad un ad un, ch’ebbi de l’alto
piacer ministri, avrò in memoria eterna,
e quanto è il mio poter, sempre vi essalto.
Né più debb’io tacer di te, lucerna,
che con noi vigilando, il ben ch’io sento
vuoi che con gli occhi ancor tutto discerna.
Per te fu dupplicato il mio contento;
né veramente si può dir perfetto
uno amoroso gaudio a lume spento.
Quanto più giova in sì suave effetto
pascer la vista or de li occhi divini,
or de la fronte,
or de l’eburneo petto ;
mirar le ciglia e l’aurei crespi crini,
mirar le rose in su le labbra sparse,
porvi la bocca e non temer de’ spini;
mirar le membra, a cui non può uguagliarse
altro candor, e giudicar mirando
che le grazie del ciel non vi fur scarse,
e quando a un senso satisfar, e quando
all’altro, e sì che ne fruiscan tutti,
e pur un sol non ne lasciar in bando!
Deh! Perché son d’amor sì rari i frutti?
deh! perché del gioir sì brieve il tempo?
perché sì lunghi e senza fine i lutti?
Perché lasciasti, oimè! così per tempo,
invida Aurora, il tuo Titone antico,
e del partir m’accelerasti il tempo?
Ti potess’io, come ti son nemico,
nocer così! Se
‘l tuo vecchio t’annoia,
ché non ti cerchi un più giovane amico?
e vivi, e lascia altrui viver in gioia!
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