venerdì 8 settembre 2023

Fabio Pusterla

 STLANIK

 

                                 Dopo due o tre giorni cambiava il vento,

                                            e calde correnti d’aria portavano la primavera.

               Varlam Šalamov

 

Uno chiamava da un ponte, esile sulle correnti:

l’acqua, ancora, diceva senza dire: sempre qui

l’appuntamento: nella luce dell’acqua,

qui accanto, nella luce. Sospesi.

Accarezzando qualcosa: ringhiere, cortecce

d’alberi morti, schegge d’osso, pettini smangiati.

Con le mani, con gli occhi o con la voce: proteggere

quello che sale da dietro, da sotto,

non visto, nelle gole più cupe: l’improvviso

guizzare di un uccello nella luce

del botro. E dire grazie,

umilmente. Con cura.

 

Un altro andava portato  dalle alghe:

contava sassi, asperità fluviali, voragini.

Schiacciato dal tempo, scivolava nel flusso, annichilito.

Rinunciando a ogni cosa: niente occhi, niente dita,

e più nessuna memoria, o senso. Grida, forse,

grida scolpite su grate, graticci di dolore. Pietre

coperte di muschi, fanghiglie.

e luce cruda di ghiacci, serpenti

nei cunicoli. Rose senza radici. Masticava

del vetro, annegando per tutti.

 

Il terzo era distante, irraggiungibile.

In cammino, in cammino:

oltre la fatica e il deserto. Camminava

tradito, a testa alta, ancora in piedi.

Sotto le nuvole e contro le nuvole, marciando.

Sotto le nuvole e sopra le nuvole, con passo

barcollante, ma lo sguardo

fisso verso l’Amur, dove acqua sporca

trascinava carcasse verso il mare

vietato. C’è chi dice

recitasse Petrarca.

Alzate gli occhi, diceva, alzate il corpo, nel vento

cercate le ali.

 

Nevica. Il pino prostrato si rialza,

segna nel gelo la via del primo fiore.

Annuncia frutti, torrenti, torrenti.

 

E l’armadillo cammina, verso nord.

 

da Da qualche parte nello spazio. Poesie 2011-2021I, Le lettere, 2022

 

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