STLANIK
Dopo due o tre giorni cambiava il vento,
e calde correnti d’aria portavano la primavera.
Varlam Šalamov
Uno chiamava da un
ponte, esile sulle correnti:
l’acqua, ancora,
diceva senza dire: sempre qui
l’appuntamento:
nella luce dell’acqua,
qui accanto, nella
luce. Sospesi.
Accarezzando qualcosa:
ringhiere, cortecce
d’alberi morti,
schegge d’osso, pettini smangiati.
Con le mani, con
gli occhi o con la voce: proteggere
quello che sale da
dietro, da sotto,
non visto, nelle
gole più cupe: l’improvviso
guizzare di un uccello
nella luce
del botro. E dire
grazie,
umilmente. Con
cura.
Un altro andava
portato dalle alghe:
contava sassi,
asperità fluviali, voragini.
Schiacciato dal
tempo, scivolava nel flusso, annichilito.
Rinunciando a ogni
cosa: niente occhi, niente dita,
e più nessuna
memoria, o senso. Grida, forse,
grida scolpite su
grate, graticci di dolore. Pietre
coperte di muschi,
fanghiglie.
e luce cruda di
ghiacci, serpenti
nei cunicoli. Rose
senza radici. Masticava
del vetro,
annegando per tutti.
Il terzo era
distante, irraggiungibile.
In cammino, in
cammino:
oltre la fatica e
il deserto. Camminava
tradito, a testa
alta, ancora in piedi.
Sotto le nuvole e
contro le nuvole, marciando.
Sotto le nuvole e
sopra le nuvole, con passo
barcollante, ma lo
sguardo
fisso verso l’Amur,
dove acqua sporca
trascinava
carcasse verso il mare
vietato. C’è chi dice
recitasse
Petrarca.
Alzate gli occhi,
diceva, alzate il corpo, nel vento
cercate le ali.
Nevica. Il pino
prostrato si rialza,
segna nel gelo la
via del primo fiore.
Annuncia frutti,
torrenti, torrenti.
E l’armadillo
cammina, verso nord.
da Da qualche
parte nello spazio. Poesie 2011-2021I, Le lettere, 2022
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