LA LUCE CHE CI INVESTE
La luce che ci investe, la molteplice
foglia che ripete la lingua
del vento, la stupefatta quota
della nube o il fragile anemometro
del volo, il denso filatoio della rondine:
ospite o insidia, non l'abbiamo
saputo. Ma ora il buio
mescola gli avi e li conduce
ai canali del sangue, ai notturni
sussulti della casa ormai spoglia.
E poi il cuore-aquilone, il cuore-uccello
che sposa la molecola del sonno.
Avremo tempo ancora, come su una
soglia, come in un film di Clair
di conoscere l'ospite del mondo.
Farmaco o cura non lo abbiamo
saputo, perché sempre
siamo una volta sola: già la bufera
che rovesciava il pullo dalla vetta
non esiste e lo rende
arido in mezzo all'erba, le orbite vuote
un pullulìo d'insetti.
Già la scia si richiude
sul guizzo del delfino.
Non abbiamo saputo nella breve
accoglienza distinguere lo spazio
mutevole del sangue dalla stretta
di antichi corridoi.
Ecco la doglia, questo
il sempre poi
del poi.
(inedita)
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