lunedì 23 giugno 2025

Bruna Giacomi

Bruna Giacomi, romana, è stata segretaria di redazione della rivista «Arsenale», dalla fondazione e per tutta la sua durata. Là, sul n. 2, nell’ormai lontano 1985, pubblicò alcune poesie (qualcun’altra era uscita su «Materia»). Sono le sue uniche pubblicazioni che io ricordi. Non vanta libri. Le poesie che seguono sono di quegli anni Ottanta. Non so nemmeno se, da allora, Bruna Giacomi ne abbia scritte altre. Leggendo:  “Non presto più / attenzione alle gelide / luci improvvise dei versi / regalati dal caso / nel corso del tempo”, si direbbe di no, ma io credo il contrario, anche se sono quasi certo che nessuno le abbia lette. 

Di quest’essenziale canzoniere cosa dire? Subito questo: a me non dispiace che parli d’amore, e né mi pare che ne parli troppo, come sembra rimproverarla l’amico al quale è dedicata l’ultima, bellissima poesia. Se comunque è l’amore, “per quanto sia, per un’idea, / per il cane, il padre, per / l’altro – da sé”, che ci uccide, come si fa a non parlarne e scriverne? La differenza la fanno il ritmo, la lingua, la parola. Il verso di Bruna Giacomi è misurato sul respiro, mimetico nel ritmo, spezzato talvolta dall’ansia e, di più, dall’affanno: lungo o breve che sia, a volte di una sola ma esemplare parola (altre, più rare volte si esemplifica in misure tradizionali, come in questo splendido endecasillabo: “non ti saranno di conforto i versi”), è comunque accortamente disposto a significare le emozioni o gli scarti del cuore. Il vocabolario non è quasi mai banale; è, invece, vario, spesso ricco, anche prezioso (ma non pretenzioso). S’intuisce che ogni poesia, alla lettura così semplice e spontanea, nasconde un tormentato lavoro di cesello, cela ripensamenti e varianti: un lavoro, insomma, tutto teso alla ricerca di un senso sempre più trasparente, sempre più incisivo (si confronti, qui, la prima poesia con la sua variante più in basso: di alcuni versi cambia il movimento, che si fa più svelto, più fluido, e spariscono “le mascelle aguzze e veloci” dei ricordi, sostituite dall’aggettivo “maledetti”, che se forse impoverisce l’immagine, la rende però più diretta e, infine, più convincente).


RASOIATA AL CASTELLO   (I)

 

*                                                                                     

 

Non le timide tortore, ma petulanti

passeri, non più i tuoi occhi

ma altri mi sorvegliano addormentata,

questa mattina.

Così, mentre braccia perfette

mi stringono in incerto

possesso, le mascelle aguzze e

veloci dei ricordi rosicchiano

quest’alba che

schiara la stanza e il letto.

 

 

 

Vieste                                                                                        

 

Benché oggi ogni pensiero mi punga

un quieto crepuscolo cede alla notte.

In quest’ora impassibile, mentre

balestrucci bruni si svolgono in

facili correnti, sono vinta

dal consueto affanno.

 

 

 

*                                                                          

 

Non so quale corrente

rimandi la calma onda.

 

L’umido bosco nasconde

radici scoperte, ferite come

il silenzio che c’intreccia.

 

Tutto è sospeso.

Anche la pioggia esita

a sorprenderci, noi

animali ben attenti a non

abbassare la guardia.

 

 

 

*                                                                        

 

La gioia, il dramma, la noia

di questo vivere assunto

a vizio necessario e inutile;

forse non c’è più motivo

di raccontarci ma lascia,

per questa notte, alla tua cupa

regina l’apparenza del

sonno, il giusto riposo:

i sogni, gl’incubi persino

conservali per noi.

 

 

 

*                                                                        

 

Ti sapevi eterno, lucido

sempreverde che resiste

ad ogni mano, non fiore

che scesa la stagione

muore. Con ignavia

invecchia l’immagine

che incontri allo specchio.

Non ti saranno di conforto i versi

perché non gettano seme

i tuoi giorni.

Non puoi essere giusto

e saldo: vivi nell’errore.

 

 



(La rasoiata al castello è una figura del biliardo: la palla butta giù tutti i birilli, elegantemente, uno dopo l’altro, sfiorandoli appena.)

                

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