LETTERA DA VELIA
L’ho vista fra i cantori
in ascolto
fra i guerrieri assiepati
nella cavea improvvisata
del cortile
l’ho
rivista
solo ieri dopo un lungo
inverno e un’estate troppo calda
dopo altri inverni e altre estati
e primavere
l’ho rivista nella sera d’autunno
fra i guerrieri innamorati
o forse solo accesi
di desiderio e di lussuria
mentre un femio senz’anima cantava
certi versi sgraziati
e senza forma
l’ho rivista
e mi sono accorto
di non subirne la presenza
il mio sguardo l’ha avvolta
l’ha accolta
in sé per un tempo
breve
certo intenso ma breve
poi l’ha persa fra i tanti
che si stringevano al cantore
fra complimenti e abbracci
forse insinceri ma
opportuni
così
in uno sguardo l’ho persa
e solo allora solo in quella
mancanza ho capito quanto ancora
mi era cara e l’amavo
*
perciò ora ti scrivo da questo
paese lontano
e antico da una spiaggia ad arco
leggero mentre un vento
cauto a tratti solleva
il foglio dove appunto questi
pensieri eleatici tradotti
in parole di poca
o nessuna intensità se non fatte
di carne viva o ignoranti
nel sentimento non dico
gli occhi ma la sua nuca
lo spazio liscio fra l’orecchio
e i capelli dove avrei
voluto baciarla come la
prima volta anche lì
fra i cantori assiepati
fra i quali lei indugiava
compiaciuta
*
durevoli giorni dal dolore
non possono sbocciare
e la vita cammina o corre avanti
a me che non potrò
mai raggiungerla e pago
con imperizia e indecisioni
i suoi passi impreparato
a viverla con la struggente
voglia di dirle addio
ma di non farlo mai
forse perché il pensiero
iperuranio che mi salva
è lei
l’essere univoco e sereno
increato ed eterno
che qui a Velia oggi cura
i miei giorni e saperla
infinita
ne riscatta il ricordo
che duole come apparenza
quando i sensi me ne danno
ancora tenere prove
e se le cose
non possono avvalersi
di nostre riflessioni
perché accadono sempre
a nostra insaputa non senza
stupore riconosco
il suo volto
nel sale e mi penso
a leggerle versi d’amore parole
così nuove così
sconosciute che non oso
ripeterle dette quando lei
non c’era ad ascoltarle,
quando erano falò
sulla spiaggia o solo il rossore
del suo viso o della brace
della mia sigaretta
che lentamente si spegneva
ardendo nelle sue
pupille chiare e se ora
non sto male
è perché – l’ho imparato
proprio qui
proprio da questi
greci in ritardo – anche il cervello
è cuore
*
ma restano distanze
inattingibili
tra le parole anche tra quelle
che alimentano il rogo
dei sentimenti che se non
dànno la conoscenza o anche solo
il sapere dei limiti
la coscienza dell’anima, almeno
il possesso o l’illusione
consapevole del tatto
quando le sfioro il cuore
con un soffio
con una piuma il pube
e se ora il mare è questo
riflesso del pensiero
che affiora nelle parole
scritte ed i muri
specchi opachi di me
stesso la logica
dell’ombra che si ostina
a vegliare è perché
neppure il sonno
è facile
(inedita)
piacerebbe, all'autore, che i lettori lasciassero un commento su questa poesia, scritta di getto sabato mattina, quasi i suoi versi, le sue parole avessero fretta di proporsi
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