Era là fra i
cantori
in ascolto
fra il pubblico
assiepato
nella cavea
improvvisata
del cortile, l’ho rivista
nella sera d’autunno
mentre un femio
senz’anima
cantava versi
sgraziati e senza
forma
l’ho rivista ma
senza
subirne la bellezza
il mio sguardo
l’ha avvolta
l’ha accolta
in sé per un tempo
brevissimo prima
di perderla fra i
tanti
che si stringevano
al cantore
per complimenti e abbracci
Di questo ora ti
scrivo
da un paese
lontano
e antico da una spiaggia
ad arco
leggero mentre un
vento
cauto a tratti
solleva
il foglio dove
appunto questi
pensieri eleatici
tradotti
in parole di poca
o nessuna
intensità se non fatte
di carne viva o
ignoranti
nel sentimento non
dico
gli occhi ma la
sua nuca
lo spazio liscio
fra
l’orecchio e i
capelli dove avrei
voluto baciarla
come un tempo
Durevoli giorni
dal dolore
non possono
sbocciare
e la vita cammina
o corre avanti
a me che non potrò
mai raggiungerla e
pago
con imperizia e
indecisioni
i suoi passi
impreparato
a viverla con la
struggente
voglia di dirle
addio
ma di non farlo
mai
forse perché il
pensiero
iperuranio che mi
salva
è lei
l’essere univoco e
sereno
increato ed eterno
che qui a Velia
oggi cura
i miei giorni e
saperla
infinita
ne riscatta il
ricordo
che duole come
apparenza
quando i sensi me
ne danno
ancora tenere
prove e
se le cose non
possono avvalersi
di nostre
riflessioni
non senza stupore
riconosco
il suo volto
nel sale e mi
penso
a leggerle versi
d’amore parole
così nuove così
sconosciute che
non oso
ripeterle dette
quando lei
non c’era ad
ascoltarle,
quando erano falò
sulla spiaggia o
solo il rossore
del suo viso o
della brace
della mia
sigaretta
che lentamente si
spegneva
ardendo nelle sue
pupille chiare e
se ora
non sto male
è perché – l’ho
imparato
proprio qui
proprio da questi
greci in ritardo –
anche il cervello
è cuore
Ma restano
distanze
inattingibili
tra le parole
anche tra quelle
che alimentano il
rogo
dei sentimenti che
se non
dànno la
conoscenza o anche solo
il sapere dei
limiti
la coscienza
dell’anima, almeno
il possesso o
l’illusione
consapevole del
tatto
quando le sfioravo
il cuore
con un soffio
con un respiro il
pube
e se ora il mare è
questo
riflesso del
pensiero
che affiora nelle
parole
scritte e i muri
specchi opachi di
me
stesso la logica
dell’ombra che si
ostina
a vegliare è
perché
neppure il sonno
è facile
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