lunedì 11 aprile 2022

Angelo Poliziano

 

UNA VECCHIA MI VAGHEGGIA

 

Una vecchia mi vagheggia,

vizza e secca insino all’osso;

non ha tanta carne addosso

che sfamassi una marmeggia.

Ell’ha logra la gingiva,

tanto biascia fichi secchi,

perch’e' fan della sciliva

da ’mmollar bene e pennecchi:

sempre in bocca n’ha parecchi,

ché ’l palato se gli ’nvisca;

sempre al labro ha qualche lisca

del filar ch’ella morseggia.

Ella sa proprio di cuoio,

quand’è in concia, o di can morto,

o di nido d’avoltoio:

sol col puzzo ingrassa l’orto

(or pensate che conforto!),

e fuggita è della fossa;

sempre ha l’asima e la tossa

e con essa mi vezzeggia.

Tuttavia el naso le gocciola,

sa di bozzima e di sugna,

più scrignuta è ch’una chiocciola:

po’, s’a un tratto el fiasco impugna,

tutto ’l suga come spugna,

e vuole anche ch’i’ la baci.

Io la sgrido: «Oltre va’ giaci!»;

ella intorno pur matteggia.

Non tien l’anima co’ denti,

ch’un non ha per medicina;

e luccianti ha quasi spenti,

tutti orlati di tonnina.

Sempre la virtù divina

fin nel petto giù gli cola;

vizza e secca è la sua gola,

tal ch’un becco par d’acceggia.

Tante grinze ha nelle gote,

quante stelle sono in cielo;

le suo poppe vizze e vote,

paion proprio ragnatelo.

Nelle brache non ha pelo,

della peccia fa grembiule;

e più biascia che le mule,

quando intorno mi volteggia.




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