UNA VECCHIA MI
VAGHEGGIA
Una vecchia mi vagheggia,
vizza e secca
insino all’osso;
non ha tanta carne
addosso
che sfamassi una
marmeggia.
Ell’ha logra la
gingiva,
tanto biascia
fichi secchi,
perch’e' fan della
sciliva
da ’mmollar bene e
pennecchi:
sempre in bocca n’ha
parecchi,
ché ’l palato se
gli ’nvisca;
sempre al labro ha
qualche lisca
del filar ch’ella
morseggia.
Ella sa proprio di
cuoio,
quand’è in concia,
o di can morto,
o di nido d’avoltoio:
sol col puzzo
ingrassa l’orto
(or pensate che
conforto!),
e fuggita è della fossa;
sempre ha l’asima
e la tossa
e con essa mi
vezzeggia.
Tuttavia el naso
le gocciola,
sa di bozzima e di
sugna,
più scrignuta è ch’una
chiocciola:
po’, s’a un tratto
el fiasco impugna,
tutto ’l suga come
spugna,
e vuole anche ch’i’
la baci.
Io la sgrido: «Oltre
va’ giaci!»;
ella intorno pur
matteggia.
Non tien l’anima
co’ denti,
ch’un non ha per
medicina;
e luccianti ha
quasi spenti,
tutti orlati di
tonnina.
Sempre la virtù
divina
fin nel petto giù
gli cola;
vizza e secca è la
sua gola,
tal ch’un becco par d’acceggia.
Tante grinze ha
nelle gote,
quante stelle sono
in cielo;
le suo poppe vizze
e vote,
paion proprio ragnatelo.
Nelle brache non
ha pelo,
della peccia fa
grembiule;
e più biascia che
le mule,
quando intorno mi
volteggia.
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