venerdì 6 ottobre 2023

Ezra Pound

da CANTO LXXXI


[ . . . ]

 

Ciò che sai amare rimane

                                          il resto è scoria

Ciò che tu sai amare non sarà strappato da te

Ciò che tu sai amare è il tuo vero retaggio

Il mondo, quale? Il mio, il loro

                       o di nessuno?

Prima venne la vista, poi diventò palpabile

   Eliso, fosse pure in quell’antro d’inferno,

Ciò che tu sai amare è il tuo vero retaggio

Ciò che tu si amare non ti sarà strappato

 

La formica è centauro nel suo mondo di draghi.

Deponi la tua vanità, non è l’uomo

che ha fatto il coraggio, o l’ordine o la grazia,

   Deponi la tua vanità, dico, deponila!

La natura t’insegni quale posto ti spetta

Per gradi d’invenzione o di vera maestria,

Deponi la tua vanità,

                                  Paquin, deponila!

Il casco verde tua eleganza offusca.

 

«Padroneggia te stesso, e gli altri ti sopporteranno»

   Deponi la tua vanità

Sei cane bastonato sotto la grandine

Tronfia gazza nel sole delirante,

Mezzo nero mezzo bianco

tu non distingui fra ala e coda

Giù la tua vanità

              Spregevole è il tuo odio

Che si nutre di falso,

              Deponi la tua vanità,

Sollecito a distruggere, avaro in carità,

Deponi la tua vanità,

               Dico, deponila!

 

Ma avere fatto piuttosto che non fare

              questa non è vanità

Aver bussato, discretamente,

Perché un Blunt ti apra

        Avere colto dall’aria una tradizione viva

o da un occhio fiero ed esperto l’indomita fiamma

Questa non è vanità.

   L’errore sta tutto nel non fatto,

sta nella diffidenza che tentenna…


Traduzione di Mary de Rachewiltz

 

da I Cantos, Meridiani Mondadori, 1985


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