mercoledì 25 ottobre 2023

Malcolm Lowry

 Ci sono libri nei quali ci si perde, nei quali si entra per perdersi, perché non si vuole più uscirne. Sono quelli che indagano l’anima o il mistero di sé. 

Di ognuno di questi libri offro solo l’incipit, ovvero il primo, o i primi paragrafi; di qualcuno, l’ultimo o gli ultimi, ovvero l’explicit. Spero, per voi che leggerete, che servano d’invito a perdervi in essi.

Posso citarne molti (ovvero, posso citare alcuni di quelli nei quali mi sono perso io, perché forse ognuno ha i suoi). Dopo Pedro Páramo, ecco


SOTTO IL VULCANO


Due catene di montagne tagliano la repubblica approssimativamente da nord a sud, formando tra loro tutta una serie di vallate e di altipiani. Sovrastando una di queste valli, che è dominata da due vulcani, sorge, a duemila metri sul livello del mare, la città di Quauhnahuac. Si situa a sud del Tropico del Candro, esattamente sul diciannovesimo parallelo, alla stessa latitudine circa delle Isole Revillagigedo, a ovest nel Pacifico, o, molto più a ovest, dell’estrema punta meridionale della Hawaii – o anche alla stessa latitudine del porto di Tzucox, a est, sulla costa atlantica dello Yucatan presso il confine dell’Honduras britannico, o, molto più a est, della città di Jaggernaut, in India, sul Golfo del Bengala.

[…]

    Oh, Yvonne, tesoro mio, perdonami! Mani robuste lo sollevarono. Aprendo gli occhi, egli guardò giù, aspettandosi di vedere, sotto di sé, la giungla magnifica, le montagne, Pico de Orizabe, Malinche, Cofre de Perote, come quei picchi della sua vita conquistati l’uno dopo l’altro, prima che la più grande di tutte le sue ascensioni, questa, fosse felicemente, se pur non del tutto secondo le regole, terminata. Ma non c’era nulla, qui: niente picchi, niente vita, niente ascensioni. Né questa sommità era esattamente una sommità: non aveva sostanza, non solide basi. Essa pure crollava, qualunque cosa fosse, si sbriciolava, mentre egli precipitava, precipitava nel vulcano, che doveva aver scalato, dopo tutto, sebbene ora avesse nelle orecchie quel rumore di lava che trabocca, orribilmente, era in eruzione, ma no, non era il vulcano, era il mondo stesso che stava esplodendo, che esplodeva in neri grumi di villaggi catapultati nello spazio, e lui che cadeva in mezzo a tutto ciò, nell’incredibile pandemonio di un milione di carri corazzati, nel bagliore di dieci milioni di corpi fiammeggianti, cadeva entro una foresta, cadeva…

    A un tratto egli urlò e fu come se quell’urlo rimbalzasse lanciato da un albero all’altro, come se la sua eco ritornasse, poi, come se gli stessi alberi si avvicinassero, lo stringessero da presso, serrati gli uni agli altri, chinandosi su di lui, pietosi…

    Qualcuno gli scagliò dietro un cane morto, nel burrone.

 

Traduzione di Giorgio Monicelli

Da Sotto il vulcano, Feltrinelli, 1966


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