QUATTRO LEZIONI DI CAMILLO FONTE
Seconda
lezione: La
sera del dì di festa di Leopardi
«Qualcuno crede
che il primo verso della Sera
del dì di
festa di Leopardi sia
sbagliato…»
Cominciò la
lezione, guardando ad uno ad uno
i ragazzi in
prima fila, indugiando come forse
aspettasse una
reazione, o un moto di stupore,
che non venne. Fu
deluso. Riprese: «per via
di quelle tre e
(le due congiunzioni e la forma
verbale), perché
i loro suoni funzionerebbero
come dieresi eccezionali
prolungando quel verso
fino a farne un
alessandrino». Qui tacque
per più di un
minuto, ma stavolta guardò fuori,
dove il sole
accendeva le finestre e dilagava
sull’erba della
Villa, sopra ai tetti dei chioschi.
Poi riprese.
«Ovviamente, però, non è così.
Chi lo crede ha
frainteso la funzione di quelle
tre e, le
quali hanno il compito di aprire e
allargare la
visione, e subito dopo quella di
stabilire,
tramite la precisa scansione vocale,
i tre pilastri
sensoriali su cui si fonda la notte,
quella notte
straordinaria: dolce, chiara, senza vento».
Si fermò, li
guardò, si chiese come i suoi
ragionamenti
avrebbero aiutato quei futuri
ragionieri a
ragionare. Sorrise fra sé, poi riprese.
«Ma tutto questo
è secondario, lo capite?
perché con quel
polisindeto Leopardi intendeva
ottenere (al
contrario di quel che si prefiggeva
Foscolo nel primo
verso di Alla sera, ricordate?)
un rallentamento,
anzi una sospensione…
Da quella
sospensione e dai versi successivi
(pensate al
movimento dell’occhio che dal-
la notte stellata
scende sui tetti e sugli orti,
dove sembra
riposare la luna, per poi spingersi
al limite
dell’orizzonte, dove si stagliano
nitide le prime
montagne) nasce l’andamento
della poesia,
nella quale, dopo il piacere
suscitato dalla
notte straordinaria per luminosità
e dolcezza, il
poeta passa presto a considerare
la propria
infelicità e, per contrasto con la
sospensione del
paesaggio notturno e i rumori
della festa
passata, il trascorrere rapido del tempo».
Nessun commento:
Posta un commento