mercoledì 2 ottobre 2024

Alessandro Ricci

 MARE D'ARAL

 

Una carretta dei laghi gonfia reclina relitta

s’una riarsa duna stata una sirte un tempo:

la tua solita tresca di compassione s’inganna

se la speri soltanto ferita:

quella nave non sta morendo,

è morta male.

                       I lenti convogli, le pigre carovane

che in turni sempre più rari, più avviliti che

usuali, trascinano merci già logore

su claudicanti tratturi, l’hanno

ormai traghettata, ma non

a riva: dalla disattenzione

all’oblio.

               Così,

dal tuo sporco orlo ritratto, giallo

d’un giallo livido, tra le vampe esalate

traspare il suo unico squillo,

la ruggine del suo colore.

                                            Da lì,

dove la vedi a tratti in mezzo al sale

che sale, t’accade una voglia dolorosa

di misurare, e frughi nella distanza

altri più antichi, più lontani relitti

al largo di sabbia o del nulla: malfermi

puntini neri, che gli occhi miopi                                                                                            

consentono solo

di travedere ma tutto

il tempo a ritroso e la moltiplicazione,

la fuga degli spazi

svelano come chiari verdetti: che tocca

chiudere il conto, d’ora all’indietro, anno

dopo anno, fino al comune

momento del varo, in qualche arso

cantiere uzbeco o sotto una fosca

luce d’oltraggio: una superstite

lampada cuneese.

                             Come là

giù le chiglie sventrate dalle dune

che le divorano: la prima, le ultime

ed altre ancora – chi sa? fino

alla fine del suono –, in un’inospite Scizia dove

per suono dicono ronzio del deserto che avanza,

per vita sgomento per la vita che manca,

ma non lo vedi? hai ficcato i piedi in uno stesso

marcio arenile, e l’intera memoria

senza pietà.

                   Terra, terre di sterro, bruciori, odori

sturati in roghi fulminei

o fatui, ma è

un’unica pressa, un unico spasmo: lagune e silenzi

di sabba schiacciati, di

tempo e orizzonte avvitati:

un calibro solo,

una ferita enorme,

albume abbacinato, cenere sparsa,

macchia, poi più

nient’altro che orma,                                                                                                              

limo, com’è naturale

che sia.


da Tutte le poesie, Europa Edizioni, 2019 

 

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