mercoledì 17 novembre 2021

Attilio Bertolucci

 Domani ricorre l'anniversario della nascita di Attilio (18 novembre 1911). Voglio ricordarlo e segnalarlo a chi ha dimenticato.

 

DISCENDENDO IL COLLE

 

 

I

 

A quest’ora al tramonto se a occidente

il cielo nuvoloso si piagava e diveniva celeste

a oriente il campo mietuto e saccheggiato

ardeva di tanti fuochi: era la città di Roma

 

nel tardo autunno e qui il Tasso a occidente

del mio cammino in Sant’Onofrio e a oriente Gramsci

in Regina Coeli patirono la bellezza di cieli

similmente piagati un tale ardere di fuochi

 

poi che un altro anno finiva assai

amaramente della loro vita entrambi

da reclusione e castità sorrisi mentre

più giù più giù nell’ombra che infittisce

 

e palpita di corpi abbracciati un commercio

prospera per cui non moriranno i borghi

da queste alture ancora ocra e rosa

prima della notte e di un lume di luna

 

tiepido come latte e portatore d’insonnia.

 

 

II

 

Splendi ottone risuona legno poi che

dicembre ha disperso la nuvolaglia e viene

Natale tutto il cielo è celeste

chiara la città come una rosa.

 

O pomeriggio trasmutato in sera o baci

nell’illuminarsi e perdurare scuro

di vicoli e piazzette, petali

umidi di una polluzione notturna:

 

questa notte sveglia, la rosa

e le cornamuse dolcemente nasali

che seguirono il sereno e i suoi

lempi, lontane. E fu

 

il marasma o la sua prova

generale: doveva accadere qui in un

inverno corruttore e languido

così che il sudore improvviso sembrasse naturale.

 

 

III

 

Lo stesso amaro profumo del sempreverde

e sapore di fumo in bocca per

sarmenti bruciati – è il lavoro d’ogni giorno

da metà gennaio per questi

giardinieri avventizi, uomini

di grandi vizi e d’una media miseria,

adulteri stempiati per cui

i minorenni s’equivalgono, amati

più della vita.

Qui dove ormai, e sempre,

la bellezza soltanto dà suono

sincero, metallo che corrusca

non si consuma alla saliva dei baci.

Ne riceve ferite discendendo

il colle inebbriante di sereni lontani –

l’orizzonte aperto perché le giornate s’allungano –

chi si credette temprato dai rigori

d’un’infanzia ostinata

nell’Italia e nell’Europa che ancora

avvolge notte e nebbia e stringe gelo delirante d’inverno.

Ma lascia che al braccio piegato

(piagato) d’una curva sbianchi

la facciata d’un ospedale

dove soffrono bambini, senti

gemere il sempreverde nel piccolo

falò terminale: non disperare.

 

Da Viaggio d’inverno, Garzanti, 1971

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