mercoledì 3 novembre 2021

Francesco Dalessandro

 NEL GIORNO DEI MORTI

2 novembre 1991

 



Nel mese più stanco, nel giorno

dei morti – è già un mese

che manchi – giorno freddo

e assolato arrembante come allora

oltre il crinale dei monti

su strade e campagna sul rame

del bosco e sopra ai tetti

a sciogliere la brina

notturna («è il fiato dei morti»

una voce inconoscibile bisbiglia

«è il fiato perso dei nostri

cari morti: hanno freddo

e il loro fiato gela» una vecchia

in nero che non riconosco

per età o per stanchezza

arrancando curva sulla strada

del cimitero fra sé e sé sussurra).



Forse è quella voce flebile

più del vento fra le piante

a chiarirmi quanta vita e

quanta morte sono state necessarie

ai sentimenti e che fuoco

può perderci tutti o affinare

i nostri sensi nel lento

maturare dei giorni, ma a te

la coscienza (o forse l’anima, se solo

potessimo crederlo) a te parla

scegliendo le parole –

come il corvo il frutto dolce

da beccare fra quelli avvelenati

dalle lunghe piogge acide

d’autunno – le parole spente

dal silenzio che ci divise.



«Se fu solo per il saluto

che si dà a chi parte

per un viaggio in paesi

lontani, se fu solo per questo

che tutti, tutti ci unimmo

in quel mattino assolato

e sereno di ottobre, se il nostro

pianto era giusto e dovuto

per amore, io perché ne sentivo

la colpa come fosse

una cattiva azione ora lasciarti?

perché, padre? dove avevo

sbagliato con te e perso

la confidenza bambina?

il tuo riserbo d’uomo nato

al dovere nell’avara

solitudine di questa terra

senza abbandoni, la mia cupa

adolescenza di protervia

e illusioni: eccoli forse

i motivi che il tempo confuse

ma che sempre un riverbero

lumeggiò nel profondo

della tua silenziosa vicinanza

del tuo sostegno e amore».



Ora i pensieri

sono il metronomo dei passi

lungo la strada polverosa

dove altri camminano

con noi a coppie a gruppi

di tre confabulando sotto il

sole già alto o all’ombra

nel giorno della visita

ai morti a chi ora dorme sonni

insensati e perfetti

e non ricorda più affanni o sogni.


(Inedita)

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