COSÌ
A S.
Le parla l’ascolta le dice
la sfiora la tocca la sente.
Ma non succede: il sedile alla sua destra
è vuoto, la cintura che
le taglia i seni in diagonale, l’uno
chino per sua dolcezza, l’altro
in alto levato, così vicino: riaccende
il loro quieto infiammarsi, quel
desiderio che li accompagna dall’inizio
del viaggio – né primo né ultimo
sia pure nel tempo che finge ma
non cessa d’esistere anche se loro
due non ci pensano non ci penseranno
mai e se lo sanno smettono
di saperlo –;
quella cintura non
(lo vede forte e lo dice piano) non
avvolge alcuna compagna, è
ammarata deserta piegata sola.
A Bressanone-Brixen non esco,
non esco mai – l’EGLI finisce se
non c’è LEI –, quella neve eccelsa là
su, leggera sulle montagne
è neve di confine, traccia esigua,
millimetrata: indifferente o ignara,
cambia lira in scellino, verde in blu
sui cartelli stradali, rimasugli mediterranei
in tetti aguzzi, ninnoli da camera, assuefazioni
domestiche, fedeltà inutili ma non
apparenti.
L’onda non solo marina
che afflisse o ammaliò in sagitte di calma
le nuche dorate della Scuola Eleatica – la mia
Ascea, l’Ascea dove s’attende
chi non arriva – dista mille
e cento chilometri alle spalle,
sopravvive forse (o lo chiedo?)
nella superiore eleganza di quei cavalli
lontani al pascolo sullo smeraldo.
Sono vecchio, sono stanco, più
abbandonato che solo. Altro è il pianeta, ma meno
l’astronauta di Kubrik finito nel più bianco
dei secoli, nella stanza
più trasparente.
Sarà per questo?
Sarà per questo che miei
resti di vita sopravvivono in presunzione
– mediocre riscatto – nelle curve più strette,
più buie di galleria, dove
risupero facilmente chi confida nei rettilinei
e lì soltanto si sente forte. Ma forse
è così che si campa.
A Vipiteno-Sterling bevo l’ultimo caffè italiano
e mi leggo dentro guardando la tranquilla
tenacia degli avventori. Sì, lo so: saranno,
sono stati provati ai funerali di chi,
di che li amò; ma sono rinati,
rinasceranno.
E allora.
È vanità credermi uno che manca?
È bastante il conto che pago, la pompa rossa,
il nero tubo che vedo, la sigaretta che fumo,
la porta che apro, il vetro che mi riflette in parte,
e fuori l’uccello intero dal becco strano
che mi fugge?
O non esisto? Sto
dove credo di stare? E se no, dove?
Sono niente, mezzo, meno? Chi m’ha preso
tutto, mezzo, più? E se l’ha fatto,
c’ero?
Non c’ero.
Il vuoto dell’assenza
s’è riempito di cose, persone, forse anche
parole. Mi sono, sono stato costretto
ad amare me in loro, LORO che hanno
invaso il mio posto non occupato.
Ora LEI. Dunque è lei
a vedere la penna d’aquila o falco sul cappello
del tirolese e i calzettoni bianchi e gli scarponi
unti di grasso animale e il camioncino azzurro
dei gelati e semifreddi che si sposta quel
tanto che basta perché possa
uscire dal parcheggio, e le chiede
quasi scusa, educatamente,
confidenzialmente?
Molto lontano un treno, di nessuno
dei due, dei tre, di tutti, ma a sé solo
sufficiente e grato, come pazzo
della sua gioia, attraversa
una frontiera più del tempo che
del luogo, senza fermarsi,
senza fermarsi,
così.
Roma, 15 febbraio 2001
(inedita)
C'è molto di Sandro: il viaggio, l'automobile, la neve, il treno, il binomio dell'abbandono e della solitudine, del dolore e dell'angoscia.
RispondiElimina"Ho avuto a che fare con anime difettose ed una di queste è la mia" ha scritto altrove. Scontento di sè e del mondo ha aspettato senza compromessi un riconoscimento che non ebbe
Con Sandro, non se n'è andato soltanto un poeta vero ma un uomo onesto, inflessibile con se stesso, partecipe delle sventure altrui.
Claudio
C'è molto di Sandro: il viaggio, l'automobilie, il treno, la neve, il binomio dell'abbandono e della solitudine. Struggente.
RispondiElimina"Ho avuto a che fare con anime difettose ed una di queste è la mia" ha scritto altrove. Inflessibile con se stesso, partecipe con gli altri.
Rimpiangiamo un poeta vero, in attesa di un riconoscimento che non è arrivato. Claudio
Grazie per aver pubblicato questa bellissima poesia di Ricci, nella quale si ritrova in pieno svolgimento quel suo modo così particolare (e così "universale") di farsi il terzo grado da solo, di porsi con ossessione -- indomita malgrado la ripetizione negli anni -- sempre le stesse cruciali domande, di rievocare i dramatis personae del suo personale palcoscenico (gli eleganti cavalli, la Scuola Eleatica, gli avventori dei bar lungo le strade, ecc.) con i quali i suoi lettori diventano mano mano sempre più familiari. Ho particolarmente apprezzato il riferimento all'astronauta nella stanza bianca alla fine del 2001 di Kubrick, una figura estremamente misteriosa che è sempre rimasta impressa anche a me.
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