La specie umana come generazioni di foglie. Il tema fu introdotto da Omero (Iliade VI, 145-149, e anche XXI, 462-466), ripreso da Mimnermo e da Virgilio (Eneide, VI, 305-312), più tardi da Dante (Inferno, III, 112-117). Particolare fortuna sembra aver avuto nell’Ottocento, trattato da diversi poeti (Shelley nell’ultima strofe dell’Ode to the West Wind, Lamartine, Leopardi nella sua piccola Imitazione, il russo Tjutčev, Gerard Manley Hopkins), e ad inizio Novecento (Rilke, Trofa e Ungaretti).
Ognuno di questi poeti, nel corso del tempo, ha ripensato l’antico tema a suo modo, introducendo variazioni di tono, ovvero privilegiando, nella similitudine fra gli uomini e le foglie, la caducità o la brevità della loro vita, la loro dispersione, ma anche la rinascita e il rinnovamento.
Lunedì avete letto Mimnermo, nella versione di Quasimodo. Oggi, ecco i poeti dell’Ottocento, da Shelley a Hopkins. Venerdì, Rilke, Trofa e Ungaretti.
PERCY BYSSHE SHELLEY (1792-1822)
da Ode al vento occidentale, V
Fa’ di me la tua lira come il bosco.
Le nostre foglie appassiranno insieme
ma l’impeto di quelle tue armonie
trascinatrici a noi farà sgorgare
un gemito profondo ed autunnale
pur dolce nella sua tristezza. Sii
il mio spirito tu, spirito fiero!
Spargi sull’universo i miei pensieri
come foglie avvizzite a nuova nascita!
Sommuovi con il fascino di questi
versi come da un ceppo inestinguibile
e ceneri e faville in mezzo agli uomini.
E per la terra ancora addormentata
sii traverso le mie labbra la tromba
di una profezia. L’inverno viene,
ma può la primavera essere lontana?
Traduzione di Franco Giovanelli
da Poesie, Newton Compton, 2008
GIACOMO LEOPARDI (1798-1837)
Imitazione (da Antoine-Vincent Arnault)
povera foglia frale,
dove vai tu? – Dal faggio
dove vai tu? – Dal faggio
là dov’io nacqui, mi divise il vento.
Esso, tornando, a volo
dal bosco alla campagna,
dalla valle mi porta alla montagna.
Seco perpetuamente
vo pellegrina, e tutto l’altro ignoro.
Vo dove ogni altra cosa,
dove naturalmente
va la foglia di rosa,
e la foglia d’alloro.
Da Canti, Einaudi, 1969
FJODOR I. TJUTČEV (1803-1873)
Le foglie
Stiano alti tutto l’inverno
I pini e gli abeti,
E di neve e bufere
Dormano avvolti.
Il loro scarno verde,
Come gli aghi di un riccio,
Se mai non ingiallisce,
Pure non è mai fresco.
Noi, popolo lieve,
Fioriamo e splendiamo
E solo per breve tempo
Siamo ospiti dei rami.
Tutta la splendida estate
Siamo state in bellezza,
Abbiamo giocato coi raggi,
Immerse nella rugiada.
Ma è finito il canto degli uccelli,
E i fiori sono sfioriti,
Più pallidi sono i raggi,
E gli zefiri sono lontani.
Perché dunque invano
Pendere e ingiallire?
Non è forse meglio per noi
Volar via con i venti?
O venti furiosi,
Più veloci, più veloci,
Più veloci strappateci via
Dai rami noiosi!
Strappateci, portateci via,
Non vogliamo aspettare.
Volate, volate!
Voleremo con voi.
Traduzione di Eridano Bazzarelli
da Poesie, BUR, 1993
GERARD MANLEY HOPKINS (1844-1889)
Primavera e autunno (a una bambina)
Margherita, ti rattrista
che Goldengrove perda le foglie?
Le foglie, come le cose umane, con i tuoi
freschi pensieri tu le curi, puoi?
Ah, ma il cuore indurendo via via
più freddo a quella vista non spende
un sospiro, anche se mondi di foglie
frantumate giacciono morte spoglie;
però tu piangerai e saprai perché.
Ora, bambina, non importa il nome:
le fonti del dolore sono uguali.
Né la bocca, o la mente, aveva detto
ciò che il cuore sentiva e l’anima intuiva:
per il danno cui l’uomo è nato,
per Margherita, per te stessa piangi.
Traduzione di Francesco Dalessandro
The Poems of Gerard Manley Hopkins, Oxford University Press, 1967
The Poems of Gerard Manley Hopkins, Oxford University Press, 1967
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