mercoledì 17 agosto 2011

Carlos Marzal


UCCELLO DEL MIO SPAVENTO

Uccello del mio spavento,
pellegrino usignolo di stupore,
lascia la tua migrazione per un attimo,
abbandona il tuo errare immotivato,
volgi nell’aria inospite le tue ali,
e dirigi la rotta verso il paese
della chiaroveggenza permanente,
quel fatale paesaggio senza scusa
di essere sempre insonne.

Uccello del mio spavento,
delicato usignolo della mia inquietudine,
plana gracile sull’odioso mondo
e posati su quel ramo che l’albero
delle certezze serba ancor per te.

Tu non ignori, uccello del delirio,
con la tua saggezza atroce di realtà,
che è un debole sogno essere in vita,
una luce spettrale che di notte si estingue.
Tu non ignori, uccello inconsolabile,
che si spegnerà il sole e l’universo
sarà steppa gelata senza coscienza di steppa,
senza memoria del sole né del suo smarrimento,
senza uccello che voli inconsolabile.

Per questo adesso voglio, uccello malinconico,
che intoni la canzone del nonsenso,
e che il tuo trillo fievole risuoni,
in un istante di purezza eterna,
come un’azione di grazia assoluta;
che il tuo gorgheggio sia una preghiera
per il prossimo dio dello sconcerto,
inno eseguito in acconto del nulla,
impulso di splendore casuale
che ovunque si propaghi,
e celebri nel suo perfetto scandalo
le torpide rovine del futuro.

Dimentica così i tuoi smarrimenti,
calda creatura d’angoscia,
usignolo dell’anima mia errante,
uccello di spavento.

Traduzione di Emilio Coco
da Poeti spagnoli contemporanei, Edizioni dell’Orso, 2008

 

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