PENSIERI, IN AUTUNNO
Fin qui gli sciami ronzanti, le volte
porose del cielo che si dilata, si espande
nella sera che brucia, e l’ombra
di azzurre mattine. Ma ora nuvole
basse e ferrigne, e acque
diluvianti, e il tempo
che s’impigra in scure
scure anse, e si dipana, lento,
ma le forme del mondo che si cela.
Quanti autunni hai guardato, e quante
foglie incartocciate, che danno
addio ai loro rami, quante,
mentre Orione ruotava intorno
allo zenit, e il mare, freddo,
rumoreggiava? Siamo tutti
ospiti della vita – vedi –
per poco. Il riflesso della luna
sulle rive algose di Poros, i cippi
delle strade di Smirne, che contasti,
la notte, nello specchietto retrovisore,
la stirpe fuggente dei sogni
che il bimbo, avido, inseguiva, dove
siete? Niente è più misero della vita
che si perde, e dei suoi
malinconici trofei: l’estate
era immensa, e ora, ovunque, è
solo un algido vuoto. Chi è solo
resta solo; stridono le porte contro
la pietra del tempo, e l’angelo
del tedio siede alla tua tavola,
in silenzio. Mi senti, lettore
benigno e sperduto? Le senti, le ore
tristi, che non passano, che battono contro
un cielo basso, anonimo, umido?
Accendi, allora, se puoi, un fuoco,
e, ascolta il crepito dei legni,
che gemono. Altro sfarzo vantava
la luce di ieri; un ardore
di brace ora si consuma
nelle stanze chiuse, di rame.
Da Bosco del tempo, Guanda, 2005
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