lunedì 12 settembre 2011

Nicola Bultrini

QUATTRO POESIE

*

La pioggia ha portato nuvole grosse
e bianche che scivolano lungo la tangenziale
e i prati della periferia. Ti ho salutato
ancora baciandoti la fronte col gesto
assonnato e caro sulla porta. Furtiva
sulle scale un altro sguardo, come di chi
non sa se dire, rimanere, attendere
un’ora nuova al giorno. La vita
ha un osso dentro, che lentamente
si piega lungo il corpo. Un fossile
di nervi, aggrovigliati ai sentimenti.
Quel nostro parlare e tradire le voci,
all’alba, le pigre e vergini emozioni.


*

Il cortile silenzioso ospita ombre
in tagli perfetti nell’arco di un giorno.
Remoti i rumori della strada e radi
talvolta dai caseggiati. Il muro antico
di mattoni imperfetti, come un vecchio
figurante, sorregge la scena. Le foglie
secche, i vasi di terra, e vuoti.
I panni stesi, talvolta, l’unica impronta
di un transito animale. Un cenno d’aria,
appena a mezzogiorno. E tutto torna normale.
Ma questa pure è la mia verità di pietra,
di morbidi suoni e colori. Lo spazio
chiuso di un’età infantile. Tutto il suo
sognare, il dire, il modesto fare.


*

L’estate fa la solitudine di paglia
bruciata, che sale dai campi. Roma
vive di questi silenzi, d’asfalto e popolari.
Muore Roma di questo vento che solca
gli animi e lascia sui vecchi un’africa
di pianto. Malinconia lontana, tempo
che secca la pelle e rende soli,
più della morte, più della virtù agostana.
Le cicale invadono la piazza nella
controra e la ragazza al bar le segue
con lo sguardo, fingendo di fumare.
Tutto è necessario, come il tempo
che sale, l’inverno italiano.


*

Deserti cortili, respirano ostili
nell’afa che viene e quieta. Dici
della speranza, che è l’ultima
eppure muore un giorno anch’essa,
tra muti piazzali che spirano vuoti
nell’assolare delle cicale. Quanta
città della memoria che ci consola
negli occhi e s’abbandona. Ah, Roma
di luce e pianto, sorda che disperare
fai la fede di domani. Morire, rispondo,
è vivere nel lato sconosciuto.


Da I fatti salienti, Nordpress 2007

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