I
vorrei
essere pietra pietra bianca
la pietra
della tomba che ti chiude
la pietra
nera che oramai t’affranca
da pene e da fatiche da salute
e malattia
da povertà e ricchezza
da una vita
infelice da ogni amaro
suo giorno
disperato dall’asprezza
di notti
solitarie e senza amore
vorrei
essere terra terra scura
la terra
che t’avvolge e ti preserva
per sempre
da dolore e da paura
la terra
bianca che oramai consuma
la carne
amata e se ne nutre e serba
il tuo
fresco respiro e ne profuma
come
intorno alla pietra l’aria e l’erba
II
invece sono
– ancora – carne stanca
capelli
grigi ventre pingue cute
macchiata e
palliduccia ovvero manca
colore e
fuoco alla mia vita nude
e insonni
le mie notti con la sciatica
che mi
tormenta e con il mal di schiena
soffro per
la tua assenza e disperati
cadono i
giorni smagrisce la vena
dei versi
che ti dedico si sfianca
anche la
musa, amore mio, si stanca
a cercare
una rima e per l’acuta
volontà di
non crederti perduta
per sempre
e di non piangerti s’impicca
al dolore
che provo e che conficca
aculei di
veleno nei precordi
ché
soffrano e non restino mai sordi
III
al richiamo
del volto ormai svanito
nella
nebbia confusa della morte
allo
sguardo dolente e divertito
che nel
ricordo mi reca conforto
alla tua
voce debole che il sonno
fa giungere
attutita dal profondo
della
coscienza che però mi parla
chiara di
te e di me se l’ascoltarla
non
risvegliasse il brivido reale
che suscita
l’assenza e non tremassi
sgomento
nel silenzio della notte
se insieme
alla presenza tua ideale
vivo il tuo
corpo non desiderassi
stringere
tra le braccia e in una morte
più
piccola e violenta scivolare
e perdermi
ormai morto nella vita
che insieme
a te io non ho mai vissuta
da
Sonetti
del nostro adulterio
(raccolta inedita)
Domenico
Ludovici è uno pseudonimo. (Era il nome di un erudito gesuita d'inizio Settecento, del quale - ne Le
vite degli illustri aquilani
di Alfonso Dragonetti - si legge che scrisse anche carmi in latino a imitazione di Tibullo, nei quali però "indarno vi cercherete la dolce anima e l'ardente affetto del cantore di Delia"). Nessuno conosce la vera identità di questo
poeta.
La raccolta, tuttora inedita, da cui è tratto questo
Compianto,
fu proposta alcuni anni fa a un piccolo editore aquilano. In qualità
di consulente di quello, l’amico Severino Fonte (al quale devo la
conoscenza del dattiloscritto) diede parere favorevole alla
pubblicazione; l’editore tuttavia rifiutò il testo, spaventato
dalla scabrosità dell’argomento. Non potendo chiedergli il
permesso di pubblicare la poesia, mi auguro che al poeta non
dispiaccia.
Solo da poco, per una serie di (fortunate) circostanze, ho scoperto l’esistenza di questo blog e del particolare che una mia poesia vi era pubblicata. Ho letto divertito la nota che l’accompagna. Divertito perché essa, almeno per la prima metà, è assolutamente priva di fontamento. Tuttavia, essendo stata scritta assolutamente in buona fede, merita una spiegazione.
RispondiEliminaLa convinzione del curatore del blog che il mio nome, Domenico Ludovici, sia uno pseudonimo, si deve – in assoluta buona fede, ma non senza supponenza – a Severino Fonte. Immagino che nascesse dal fatto che, nelle poche righe con le quali accompagnavo il dattiloscritto dei miei Sonetti del nostro adulterio (titolo che ritenevo assolutamente provvisorio), ormai più di venti anni fa, manifestavo l’intenzione di pubblicarlo sotto pseudonimo, per preservare la privacy dei protagonisti (cosa ormai non più necessaria). Firmavo, però, col mio vero nome. Evidentemente, Fonte e l’editore stesso fraintesero, pensando che quello fosse già lo pseudonimo. Nessuno dei due credette necessario accertare quell’identità (sarebbe bastato davvero poco: vivo all’Aquila da sempre – ma sarebbe più giusto dire: vivevo, perché il terremoto mi ha lasciato ormai senza casa e senza le cose che vi erano raccolte; prime fra tutte, i libri – esercitando, ancora per poco, l’avvocatura e occupandomi sporadicamente di politica); quando poi la pubblicazione fu rifiutata, la cosa divenne superflua. Ma Severino Fonte si ricordò di quel gesuita d’inizio Settecento (invero, un antenato della mia famiglia) e, sembrandogli d’aver scoperto l’origine dello pseudonimo, ne informò Francesco Dalessandro inviandogli il dattiloscritto, stimato degno di lettura. Questo lo scopro ora, perché, per la verità, avevo sempre creduto che la bocciatura fosse dovuta anche a lui (oltre che letterato acuto e attento, il Fonte era prima di tutto un sacerdote), mentre fu solo l’editore (adesso è certo) a ritrarsi spaventato. Sebbene troppo in ritardo perché possa riceverle, porgo al Fonte le mie scuse, lusingato che ritenesse il libro degna opera di poesia, e ancor più lusingato che lo stesso giudizio sia stato espresso, implicitamente, da Dalessandro. E più mi lusinga perché ritengo Dalessandro uno dei migliori e più bravi poeti di questi nostri tempi (ogni suo libro è una diversa avventura della mente) e, senza alcun dubbio (o piaggeria), il mio preferito. Molto mi piace quest’occasione per dirglielo. Domenico Ludovici