ANÈR, ANDRÒS
a M. G., G. B. C., L. B.
Bench’io sapessi già la noia e l’incertezza e da molto
desiderando allontanarmi mi riscoprivo come ritrovato,
rinato all’erba della buca...
affrontando la direzione, il cielo, dirigendo
il segnale al di là delle case e del confine, oltre il paese
chiaro fra i sassi, un po’ più in alto... Bench’io
sapessi degli odori e i fumi ripetendo l’origine
da oltre la breccia, dai ruderi provenivano di nuovo
e ancora si fermava la strada, durava fatica rivivere
ma era poco, solo un attimo, poi
tutto torna, o va dal fondo a passare... Ma benché sapessi, io
mi attaccavo al posto, raccoglievo energie per dare il colpo,
il getto d’acqua controsole, l’orlo prima del
nodo al collo, cambiando tono d’incanto o dal principio...
e se tutto ritorna, mi ritrova
Bench’io sapessi...
Ogni volta, si apriva un nuovo aspetto,
e all’aperto eretto imitando l’insieme
delle cose, ero attento nel
guardare il raccolto, l’eremita
uscire, incidere la terra, farla propria
decidere il futuro... e allora ricordarmi
da sempre come già andato, morto,
avviato a essere odore, fumo, somiglianza
d’altro... ma non scomparso ancora.
Bench’io sapessi già da tempo... « anèr – ripetevi dalla macchina
riconoscendomi la pelle, i pantaloni, gli occhi –
« Kommen wir nach der Welt
around the tellus Thule qui ricostruiremo
ma qui potevi nascere una volta ».
da Il sogno di Agostino, Quaderni delle Fenice, 36, Guanda, 1978
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