IL VIAGGIO DA
OVINDOLI AD ALESSANDRIA
Tre
rossi cavalli nella
neve
fumanti, borghetti
di
pietra vizza, boschi
macri,
punti greti, la
velocità
frusciante del
pullman,
i pali.
Un
roseto ineguale uncina
nel
diluvio i varchi e
reca
finito il
giorno
in
questa valle
che
vi consente.
Sto
con
te, più che vicino
nell’ora
restante,
parlando
di Mala Strana.
«Il
Mediterraneo ad Alessandria
è
viola e le palme rifanno il
vento
del giorno prima
nell’altissima
cima.
Lassù
mare
e deserto sono gli idoli
del
cormorano, cui pesci e
locuste
largiscono uomini
neri
e piroscafi ardenti
nella
foschia della rada.
Parole
così dicevo al
lungomare
fra le due e
le
quattro, eternamente
solo
con la matita e la
voce,
declamando i versi
scritti
in quei mesi
sui
sedili bianchi
di
pietra, mentr’ero
giovane.
Un
giorno
l’attesa
di ascolto ebbe la
risposta
d’un arabo,
che
aveva numerato
i
miei graffiti fino al nido
delle
mitraglie, dove soldati
gialli
sfinivano nella sabbia.
Era
per loro guerra e per me
la
fine della passeggiata ch’era
stata
forse la vita.
Poi fu
un
tramonto bellissimo, colmo
di
odori, di voli bianchi che si
perdevano
nell’azzurro, d’una sera
facile
quanto morire, di
speranze
volte in memorie, una
ad
una come le luci
che
s’accendevano sui minareti,
sui
grandi alberghi, nel cielo
blu,
e quelle erano
stelle».
Le
parole che non rivelo
parlandoti,
poiché questo
è
alla fine, sono
di
un altro viaggio, sono
quei
vecchi versi, molti
dell’andata,
pochissimi
del
ritorno.
Ad
Alessandria ci sono tornato,
rare
volte ma in altri
luoghi,
e sempre con la
voce
negli occhi.
Per
qualche attimo uno
specchio,
un’eco che
non
s’aspettava di me,
m’hanno
aspettato.
Tu
non puoi dirmi che il
sole
in Africa non cala
presto,
non puoi parlarmi
di
una giornata che non
finisce,
solo perch’io
vorrei
credervi. Né puoi
guardarmi
piegando la
testa
da sotto in su, per
cercare
lo sguardo
di
un uomo cieco,
a
cui basta a
finire
il suono spietato
d’un
motore che l’allontana.
È
tardi. Vorrei toccarti,
si
fa silenzio.
Poi
torna la pazienza del
cittadino,
la normalità della
carne
che invecchia e non
si
distingue, il poco prezzo
che
adesso pagheresti
perché
non sparisca dal
posto,
come già sta
facendo.
T’ho
guardato i capelli
come
una cosa impossibile,
non
ho mai scritto una
poesia
d’amore,
questo
è il mare che
s’esalava
nella notte,
prima
che la
prua
della mia
nave
in partenza
l’incidesse
in solchi,
flutti,
scie, infine
crespe
leggere, andate a
perdersi
fra gli ormeggi,
scivolando
morbidamente
a
riva, dove
cantavano
i marinai,
sotto
i fanaletti
colorati
dei bar,
con
la musica
nel
bicchiere.
Inedita
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