lunedì 17 gennaio 2022

Ligdamo

ELEGIE 

 

I

 

Le calende di Marte: a Roma è festa

(erano il capodanno dei nostri avi).

Tra case e strade è un unico corteo

di regali scambiati. A Neèra, mia

e (se anche mi sbagliassi) molto cara,

io, Pièridi, che donerò? Le belle

da belle parole si lasciano sedurre

e le avide dall’oro. Dei miei versi,

lei, che sola ne è degna, sarà lieta.

Una lamina d’oro avvolge il niveo

libriccino che le offro, ripulito

dalla pomice; adorno, un cartellino

con la dedica e il nome impreziosisce

l’orlo e i pomi sporgenti all’asticella

sono dipinti: così rifinita

quest’opera va offerta, degnamente.

E prego voi, che m’avete ispirato

questo canto, per l’ombra di Castalia

e le pièrie sorgenti: andate a casa

e datele a mio nome l’elegante

libretto, che non perda il suo colore.

Lei vi risponderà se una passione                   

uguale per me nutre o meno viva                   

o se dal cuore le sono caduto.

Salutatela prima con l’affetto

che merita, poi ditele, parlando

a voce bassa: « Un piccolo regalo

che ti manda chi un tempo ti fu sposo

e ora t’è fratello, Neèra. Accèttalo,

perché tu più del sangue gli sei cara,

sia che gli resti sposa sia sorella.

Ma sposa è meglio: solo sulle livide

acque di Dite, in morte, non avrà

speranza di chiamarti con quel nome ».


II

 

Il primo che strappò all’innamorato

la donna amata o il giovane

innamorato alla sua amante aveva

cuore di ferro, ma chi tanto strazio

sopportò e visse dopo che la sposa

gli fu strappata aveva un cuore ancora

più crudele. Anche un animo forte

piega un forte dolore:

e io non sono forte, né il mio cuore

è indurito; così, non mi vergogno

di dire: di una vita che mi ha dato

soltanto sofferenza, ne ho abbastanza!

Presto un’ombra impalpabile sarò

e le mie bianche ossa nera cenere

coprirà. Allora al rogo Neèra accorra

con i lunghi capelli scarmigliati

e, accompagnata dalla cara madre,

meste lacrime versi. Pregheranno,

invocheranno i Mani e la mia anima,

purificate le mani con l’acqua

raccoglieranno il poco che di me

resta, le bianche ossa, e sulla nera

veste riunite le cospargeranno

prima di vino vecchio poi di latte,

le asciugheranno coi lini sottili

per riporle nell’urna, e là i più ricchi

balsami che ci giungono da oriente

vi verseranno e misti a quelli molte

lacrime, ricordandomi. Da morto

è così che vorrei la sepoltura.

Però il triste motivo della morte

svelino i versi incisi sulla pietra:

           « Qui, Lígdamo riposa.

       Il dolore e la pena per Neèra,

la sposa rubata, ne causarono la morte ».


Traduzione di Francesco Dalessandro


NOTA

 

Di Lígdamo sappiamo pochissimo; possiamo appena supporre l’anno di nascita, forse il 43 a. C., perché lo rivelano i suoi versi: natalem primo nostrum videre parentes, / cum cecidit fato consul uterque pari. Quella data, giorno natale o giorno del primo compleanno, ha fatto pensare che le sei elegie fossero opera del giovane Ovidio, nato in quell’anno; ovvero del fratello, di un anno maggiore. All’identificazione col poeta di Sulmona non è estraneo il fatto che, in più d’un punto della sua opera, egli citi quasi alla lettera interi versi di Lígdamo (e in particolare, in Tristia, IV 10, 6, proprio quello che svela l’anno di nascita). Si tende, tuttavia, a rifiutare quest’ipotesi, come varie altre. L’identità di Lígdamo è destinata a restare ignota, ma questo niente toglie al valore della sua poesia.

Le sue elegie non fluiscono distese come quelle di Tibullo, ma hanno un’andatura epigrammatica, mossa e nervosa, e una loro caratteristica secchezza che impedisce eccessivi abbandoni formali e che ce le fa piacere; l’abbandono, invece, è certo del sentimento, in particolare dove meno si sente il debito con i predecessori di situazioni e di lessico (come avviene, ad esempio, nella quarta elegia, che forse troppo si dilunga a scapito della vivacità). La bravura formale è evidente, specie nelle ultime due elegie: la quinta nel tono commosso dell’addio alla vita e agli amici ignari; la sesta nell’altercare continuo con se stesso, in un alternarsi nervoso, appunto ebbro, di elogio del vino e del bere e di tristezza inconsolabile per l’abbandono amoroso. 

SEGUE


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