ELEGIE SULL'AMORE
III
Qui
vieni, Febo, e libera dal male
la
tenera fanciulla, vieni qui,
Febo,
superbo dei lunghi capelli.
Affrettati
e, credimi, non
ti
pentirai d’imporre, per guarirla,
le
mani su una donna tanto bella.
Non
lasciare che le pallide membra
smagriscano
e un colore malato
sfiguri
il candore del corpo
e
qualunque sia il male, qualunque
il
pericolo temuto la furia
del
fiume lo trascini in mare.
Vieni,
e porta le formule, i farmaci
che
risanano un corpo malato;
non
tormentare chi teme per la vita
della
sua donna e fa voti infiniti,
chi,
vedendola star male, promette
o
bestemmia gli dèi…
Non
temere, Cerinto, gli dèi
non
arrecano danno agli amanti
e
tu ama, continua ad amarla,
la
tua ragazza, finché sarà salva.
Non
piangere; alle lacrime farai
ricorso
quando con te sarà severa:
ora
è tua, tutta tua,
e
solo a te, nel suo candore, pensa,
mentre
illusi l’assediano.
Buon
Febo, ti faranno grandi elogi:
salvando
un solo corpo, a due persone
hai
reso la vita. Sarai presto
celebrato,
contento quando, a gara,
ti
renderanno grazie sugli altari.
Gli
dèi tutti felice ti diranno
e per sé vorrà ognuno le tue arti.
IV
Sempre,
Cerinto, il giorno che ti diede
a
me, per me sia sacro e benedetto.
Quando
nascesti, a te un regno superbo
concessero
le Parche e alle ragazze
predissero
una nuova schiavitù.
Io
più di tutte brucio; ma ch’io bruci,
Cerinto,
è così dolce se in te arde
per
me lo stesso fuoco! Che l’amore
sia
ricambiato, io prego, per la gioia
segreta
degli incontri, per i tuoi occhi
e
per il Genio. Accogli lieto, Genio,
l’incenso
del mattino e favorisci
i
miei voti, purché d’amore arda
pensandomi.
Ma se per altri amori
già
sospira, abbandona quella casa
infedele.
E tu, Venere, non essere
ingiusta:
che ci avvinca il tuo servizio
uniti
o sciogli i vincoli. Legàti
da
una forte catena però è meglio,
e
nessun giorno possa mai spezzarla.
Il
mio ragazzo esprime questo stesso
desiderio,
in segreto: si vergogna
di
farlo apertamente. Tu che ascolti,
ugualmente
esaudiscilo. Che importa
se ti prega in silenzio, o a voce alta?
Giunone
protettrice delle nascite,
accetta
il sacro incenso che t’offre
la
ragazza devota con tenera mano.
A
te, oggi, si dedica e per te
s’è
fatta bella, per farsi ammirare
ai
tuoi altari. Il motivo sei tu
perché
si mostra adorna, ma in segreto
vuole
piacere a qualcun altro. Tu
assecondala,
o dea: che gli amanti
nessuno
separi e un reciproco legame
al
giovane prepara. Sarà bella
l’unione:
a nessun’altra sarà degno
di
dedicarsi, lui, né ad altri lei.
Nessun
custode li sorprenda, mai:
l’amore
trovi il modo per sfuggirgli.
Esaudiscila
e splendida, tutta vestita
di
porpora, vieni: tre volte focacce
avrai
offerte, dea, e tre volte vino.
Una
madre premurosa raccomanda
alla
ragazza ciò che crede meglio
per
lei, ma la ragazza, ormai padrona
di
se stessa, chiede altro nel segreto
del
suo cuore. Arde ora come fiamma
d’altare
e se potessero salvarla
non
vorrebbe. Tu aiutala, Giunone,
e
immutato, riviva quest’amore,
già
vecchio, l’anno prossimo nei voti.
NOTA
Servi filia Sulpicia.
È l’unica notizia certa che abbiamo di questa ragazza poeta (del suo innamorato,
Cerinto, si sa anche meno). La parentela con Messalla, che ne ebbe anche la
tutela, ha fatto pensare che il padre fosse un tale Servio Sulpicio Rufo,
nominato da Cicerone, e di Messalla forse cognato. Ma, dopotutto, cercare di
stabilirne l’esatta identità è ozioso. Che Sulpicia facesse parte
dell’aristocrazia romana, lo testimonia la raffinatezza della sua educazione,
anche letteraria; ma a noi importa che – oltre a costituire un rarissimo
esempio di poesia femminile in epoca romana – le sue microelegie, veri
bigliettini amorosi, hanno un sapore di toccante, godibile freschezza, la
grazia di un dire urgente e quasi smanioso, una secchezza incisiva e senza
pudore, che va dritta allo scopo che le preme, al dire e al fare di una storia
d’amore intensamente vissuta.
Diverso è il caso di chi
rielaborò i suoi bigliettini, o da essi prese spunto per confezionare un
piccolo ciclo di cinque elegie. Chi lo fece era poeta vero, non c’è dubbio; ma
chi fosse anche in questo caso non sappiamo: si è pensato a Tibullo giovane, ma
nel circolo di Messalla operavano forse anche poeti che non conosciamo e uno di
essi potrebbe essere l’autore delle cinque elegie. In ogni caso, colui che
scrive sull’amore di Sulpicia, pur nell’elaborata raffinatezza formale, e
benché non abbia la stessa spontaneità – e tantomeno la sfrontatezza – della
ragazza, mantiene un tono fresco e appassionato, diretto e incisivo, di buona
presa emotiva.
SEGUE
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