venerdì 28 gennaio 2022

Sulpicia

 LE MICROELEGIE


1

 

Finalmente è arrivato, l’amore! 

Senza pudore lo dico: avrei

più vergogna a nasconderlo.

Venere, impietosita dai miei versi,

me l’ha donato e posto

in cuore: ha mantenuto

le promesse. La mia felicità

ora narri colui che non ne ha avuta.

Non vorrei confidarlo

a parole di cera quest’amore:

che nessuno lo sappia

prima di lui, il mio amato.

La colpa è troppo dolce:

fingere la virtù perché dovrei?

Ci dicano degni l’uno dell’altra.


2

 

Ecco giungere odioso il compleanno

che nella noia della campagna,

triste, trascorrerò, senza Cerinto.

Della città cos’è più dolce? È adatta

a una ragazza forse la tua villa

in campagna, Messalla, e il freddo fiume

nell’aretino? Calmati, di me

non preoccuparti, questi viaggi sono

inopportuni e se mi porti via,

perché non posso scegliere,

lascerò qui ogni cosa, anima e sensi.


3

 

La minaccia del viaggio ha abbandonato,

lo sai?, il cuore della tua ragazza.

Perciò nel giorno del tuo compleanno

resterà a Roma. Lo festeggeremo

insieme il giorno che per te ora giunge,

forse inatteso.


4

 

Ti sono grata perché ti permetti

di tutto, senza più curarti

di me: eviterò di cadere

da sciocca, in malo modo.

Tieni più a cuore la veste

di qualche puttanella con la cesta

sul capo di Sulpicia, figlia

di Servio? C’è chi è in ansia

per me, ma soprattutto

l’addolora pensare che potrei

cedere a un letto ignobile.

 

5

 

Ti sta a cuore davvero, Cerinto,

la tua ragazza mentre la febbre

ne brucia il corpo indebolito?

Perché vincere la triste malattia

se non sapessi che anche tu lo vuoi?

Per chi dovrei guarire, se con cuore

indifferente sopporti di vedermi soffrire?


6

 

Che, mia luce, io non sia

più l’ardente passione

tua, come sono stata

nei giorni trascorsi, se in tutta

la giovinezza commisi una colpa –

che confessi più pentita –

insensata, come questa:

averti abbandonato, ieri notte,

da solo, per volerti

nascondere il mio ardore.

 

Traduzione di Francesco Dalessandro


NOTA

 

Servi filia Sulpicia. È l’unica notizia certa che abbiamo di questa ragazza poeta (del suo innamorato, Cerinto, si sa anche meno). La parentela con Messalla, che ne ebbe anche la tutela, ha fatto pensare che il padre fosse un tale Servio Sulpicio Rufo, nominato da Cicerone, e di Messalla forse cognato. Ma, dopotutto, cercare di stabilirne l’esatta identità è ozioso. Che Sulpicia facesse parte dell’aristocrazia romana, lo testimonia la raffinatezza della sua educazione, anche letteraria; ma a noi importa che – oltre a costituire un rarissimo esempio di poesia femminile in epoca romana – le sue microelegie, veri bigliettini amorosi, hanno un sapore di toccante, godibile freschezza, la grazia di un dire urgente e quasi smanioso, una secchezza incisiva e senza pudore, che va dritta allo scopo che le preme, al dire e al fare di una storia d’amore intensamente vissuta.

Diverso è il caso di chi rielaborò i suoi bigliettini, o da essi prese spunto per confezionare un piccolo ciclo di cinque elegie. Chi lo fece era poeta vero, non c’è dubbio; ma chi fosse anche in questo caso non sappiamo: si è pensato a Tibullo giovane, ma nel circolo di Messalla operavano forse anche poeti che non conosciamo e uno di essi potrebbe essere l’autore delle cinque elegie. In ogni caso, colui che scrive sull’amore di Sulpicia, pur nell’elaborata raffinatezza formale, e benché non abbia la stessa spontaneità – e tantomeno la sfrontatezza – della ragazza, mantiene un tono fresco e appassionato, diretto e incisivo, di buona presa emotiva.





Nessun commento:

Posta un commento