ALLA SUA DONNA
1.
«…Tu sei me!...»: strano, fulminante lapsus del cuore,
mistero affabulante e riemerso, breve etica del telepatico,
incipit già finalistico… Ma se sbagliando
d’Amore sconfino,
compiutamente e meglio dal profondo m’esprimo. «…Tu sei
me?…» ripeto a riderne, vacillo duplice e amputato.
Ciacolando, conversando, errai goffo nel lessico – ma
non nel cuore: ché anzi proprio la sintassi, la dialettica,
suprema mi riafferma coinvolto, si proclama sincera.
2.
«Tu sei me?...» – insisti, retrocedi arrestata sul mio
spontaneo, irridente e gaudioso interrogarmi d’equivoco,
di sano, viscerale impaccio già illimpidito. Riflesso
che guida, irradia messaggi, cifrato segnala sé stesso.
Fedele, azzurro specchio infrangibile: malinteso benefico,
enigma allegro e dogmatico, verità accertata ma
indimostrabile… Più pesante sbatte l’ala ferita,
poi il suo stesso volo la cura, la riabitua all’aria:
a donarci, primigenia e indubbia, tanta formula di levità.
3.
Io dunque vivo di te, ardore che anela il reciproco,
pulsa e teorizza il suo cuore: persegue amabile a riderne
come per un madornale sfondone dialogico, sublime refuso
dell’anima. E ad entrambi l’Ego, l’Es, i compiace: perché
al contempo soprattutto, freudiana, tu sei me. Formula
piena e vitale, equazione insostenibile ma necessaria,
mistero assai ben risolvibile… Come un giocatore che
alla Dea Fortuna, all’alea bendata s’arrenda – eppure
estenuato si dichiari, si speri vincente, le sue carte
getti, sopra tutte in tavola –: ricco, forse, sarà
d’altrui: o proprio l’altro impreziosisce, autorizza a
vincerlo.
4.
Esìgimi, assoggèttami! Come giurassi un sommo, eterno voto:
di me sei parte, conquistata frazione e costrutto
–
ardua, sentimentalistica mèta ancestrale, indivisibile
binomio che l’assoluto raddoppia. Venerando te sola, anima
certo alla mia più simile – ma tutto amando il mio prossimo
come (o forse più di) me stesso… Qui l’Evangelo s’avvera:
la parabola perfettizza, trascendentale s’arrende ai fatti.
ci camuffa più saggi e limpidi – come sguardo che breve, puro
tracude il cielo: ricordo che tutto include il suo tempo.
5.
Giacché chi ama brucia e trasmuta nell’Altro, puro sirito
nutre, s’affanna e trasmigra – vi persiste e lo include:
ed è dal tuo Io (da ciò che troppo ci è proprio, pertiene
a noi stessi) che l’Io s’estranea, s’allontana – ti rivela
e ci salva. Parificami! Concorda gli antipodi!: passione
appassionante e patìta. Dammi e fammi tuo corpo. Dillo
tuo. Comprendimi, infuso ausculta il mio cuore, esigilo…
Ditti mia; credici, accoglimi, completami, fondici.
6.
D’insieme, infine, facci rinascere – mutami in qualcun
altro che di profondo, pudìco, ti somigli. L’inconscio
epurami, il pregiudizio sensuale, le tare nevrotiche:
ossimoro aguzzo e dolcissimo, Chiamami, Pàrlati. Battezza
nostro ciò che mai più sarà anonimo…
Inclinato e ruotante,
ribalta il globo! – mai onirico irridi, lenisci il mio
mondo, questa dolente ferita che non si chiude, spurga
sangue incolore: caldo, fecondo flusso d’un bene tacito.
7.
Quasi che a entrambi un figlio, una creatura nascesse –
un manifesto lirico, da ogni coppia già promessa di pace:
una vita nuova da adempiere, mostrare agli increduli,
d’intenzioni elevata, profusa nei gesti, aurea dedita
a Dio: l’altissimo, nudo Amore che si dichiara a tutti,
svela ciascuno e l’egoismo perdona, affratella, ribalta umile
– rinnega la finitezza, il parziale; ci abbraccia d’un
orizzonte più vasto, gnoseologico ci assegna il premio
d’un sacro connubio carnale: plasmata costola biblica:
Tu m’ispiri, Io t’immedesimo – specchio che ferma un sogno.
Via Lattea, n. 10, luglio dicembre 1992
Negli anni Novanta del secolo scorso si pubblicava, a Catania,
una piccola rivista letteraria, «Via Lattea», diretta da
Benedetto Macaronio (direttore responsabile era Claudio
Fassari). La redazione era composta da Luigi Amendola,
Alberto Cappi, Salvatore Cataldo, Alessandra Giappi e Renato
Pennisi.
Da
«Via Lattea» ripropongo alcuni testi significativi.
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