LA CATTIVERIA
Il dove e il quando potevano
essere tutti e loro
cantavano ditirambi osceni,
al séguito di tamburine
vecchie, ben sapendo
che in cima alla collina, diradàti
il bosco e la sarabanda non
uomini pensanti in punta di voce ma
colpitori resi implacabili
dalla strage le avrebbero
inarcate sull’erba
e i pruni, una dopo
l’altra, a turni di due
o di tre, duri
e indifferenti, ebbri
d’una vittoria facile su miseri
disarmati, comunque prodighi
del gran bottino e presto ridotti
alla stanchezza sgonfia
nelle ventraie per la razza
appena concepita di capi, che
da madri amorose
avrebbero pasciuto coi seni ricolmi
fra latici, escrementi,
altri mestrui e
nuovi
doppi liquami con i trionfatori
futuri e così
via, finché alle proli
sarebbe toccata la stessa smania
e a loro i timpani
avviliti dell’avanguardia,
perché così gira la ruota
sanguinaria della vita ma
intanto ora fingevano
di non saperlo e cantavano berciavano
salendo, lisce e snelle
per poco, come proibite
al tempo, il più sguaiato
errore di natura, se c’è chi può
o ama riprodursi: noi
no, assassinati da ogni
istante che passa, dai devoti
dell’immortale, anche
da quelle bellissime
carni, da quegli occhi
ridenti, dai brutti versi
del coro.
da Tutte le poesie, Europa Edizioni, 2019
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