GIULIANO
*
Allora
Giuliano, dopo
una
notte insonne ma non
inquieta,
all’alba quando
ogni
tenda del campo
gli
parve una duna come
ben
oltre le sabbie,
infinite
a perdita d’occhio, lisciate
dal
levante che le invadeva, le issava
in
un mare di chiaro:
là:
percorrendo
piano il perimetro
senza
il contegno del capo,
rispondendo
con un sorriso
al
saluto quasi commosso
delle
guardie di turno,
insonnolite
all’ora del cambio
– saluti
e sorrisi così simili
a
quel lontano silenzio vibrato
nell’aria
ferma, così diversi
dall’uso,
così
nuovi
–, pensò alla consapevolezza
e
ai sussurri, a quella morbida
e
rassegnata complicità,
pensò
alle navi
che
s’era bruciato alle spalle
i
cui fumi forse si mescolavano
al
velo gentile dell’enorme
giornata
che si gonfiava,
ad
altri pochi momenti,
in
un solo ricordo adunati,
invadente
ma non spietato,
senza
rimpianti.
Poi,
pensando
a tutti
i
suoi uomini che di lì a poco la tromba
avrebbe
svegliati, si disse piano
che
suoi erano pure l’errore e la colpa
del
destino che li attendeva, ma non
del
suo, cui mancava
appena
qualcosa,
un
gesto,
per
la piena armonia.
*
Giuliano l’Apostata. All’alba della disfatta subita dai persiani
nella battaglia del 25
o 26 giugno del 363 d.C.
Da
I cavalli
del nemico,
Il Labirinto, 2004
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