WILLIAM BECKFORD RICORDA LADY HAMILTON,
QUANDO, DURANTE UNA FESTA A FONTHILL,
INTERPRETÒ “AGRIPPINA CHE RECA LE CENERI DI GERMANICO IN UN’URNA
D’ORO”
Gemma
della memoria
che
ci consola col passato,
fra
quelle poche immagini
che
trapelate nel tempo
si
rivelano simboli preziosi
del
nostro desiderio,
di
quello che siamo veramente,
è
così che tu vieni,
non
è la prima volta,
a
ornare le mie notti. E con te
torna
tutto il contorno
che
ti rese possibile. Torna Fonthill
nel
suo splendore, in quell’alba
magnifica,
quando sulle sete d’una festa
non
certo per spiriti volgari,
apparisti,
risplendendo, e guardandomi
– mi
sono chiesto a volte
se
non eri la morte – interpretasti
il
dolce canto di Agrippina
che
reca le ceneri di Germanico.
Com’eri
bella, e come quella bellezza
è
simbolo della nostra, del nostro
fantastico
destino.
Oggi,
cara, lo vedi, la fortuna
come
queste nubi oscurano i campi
che
un minuto prima brillavano gloriosi,
ha
offuscato i nostri giorni. L’abietto
sogno
al quale in questi tempi si assogetta
la
sventura della società, già non permette
più
quella meraviglia. Il nostro mondo
è
morto, e con esso la bellezza della vita
sparirà,
sparirà qualunque segno
d’intelligenza,
l’Arte che amiamo sparirà.
Lieto
di non vederlo. Ho la speranza
che
menti come quelle che verranno
non
potranno immaginarmi. Intanto,
vedi,
sono felice. Ho approfittato
di
questa bella
giornata.
La cosa mi piace,
ho
comprato qualche libro prezioso, ho passeggiato
e
c’era una luce d’incanto quest’oggi.
Succeda
quel che succeda
la
mia vita fu un’opera perfetta
e
un passato così è sufficiente
a
non svilire gli anni che mi restano.
Prima
d’addormentarmi, ho accarezzato
la
tua immagine. E con la purezza
d’animo
che dona un disprezzo così assoluto
ho
preso sonno come un bambino.
Traduzione
di Francesco Dalessandro
Da
El escudo de Aquiles,
Ediciones del Dragón, 1987
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