L’ARCA
a
mia moglie
La
torre spande
un
suono sottomarino
come
la luce
che
penetra la stanza,
arca
insabbiata
che
un popolo di insetti
abita
inquieto.
Pure
ti dico,
ora
che tutto
è
più d’un naufragio
e
che posso guardarmi
ad
occhi nudi,
che
qui è chiuso
il
bruciare di anni
rappresi
di età in età
in
un tempo diverso.
Guardo,
mentre
in
silenzio ti sporgi
dalla
finesrra,
l’oblò
della tua navicella
cui
slittano a sera
lucenti
costellazioni, il vuoto
che
fascia la terra.
*
L’ago
magnetico inclina
sottile
bilancia.
A
mani vuote
ci
avventuriamo
per
rotte impraticate,
noi
d’altra razza
predoni
di tombe.
Il
cardine sconfitto della porta.
La
casa è una tavola vuota.
E
tu, compagna, amica,
parola
che non so
fra
tenera e inquieta,
come
ti sento che cerchi salvezza
volgendo
intorno
lo
sguardo animale di madre.
Un
filo si ruppe,
qui,
come altrove.
La
sfinge farfalla
richiude
le ali
volgendo
all’autunno
il
frutto maturo dell'anno.
Senza
stupore
alziamo
la testa
nel
punto che rigano
l’aria
celeste
le
bianche comete dell’uomo.
Agosto
1965
Da
Le
posate sul piatto,
Edizioni Salvatore Sciascia, 1978
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