lunedì 9 gennaio 2012

Roberto Coppini


L’ARCA

                                  a mia moglie

La torre spande
un suono sottomarino
come la luce
che penetra la stanza,
arca insabbiata
che un popolo di insetti
abita inquieto.

Pure ti dico,
ora che tutto
è più d’un naufragio
e che posso guardarmi
ad occhi nudi,
che qui è chiuso
il bruciare di anni
rappresi di età in età
in un tempo diverso.

Guardo, mentre
in silenzio ti sporgi
dalla finesrra,
l’oblò della tua navicella
cui slittano a sera
lucenti costellazioni, il vuoto
che fascia la terra.


*

L’ago magnetico inclina
sottile bilancia.
A mani vuote
ci avventuriamo
per rotte impraticate,
noi d’altra razza
predoni di tombe.

Il cardine sconfitto della porta.
La casa è una tavola vuota.
E tu, compagna, amica,
parola che non so
fra tenera e inquieta,
come ti sento che cerchi salvezza
volgendo intorno
lo sguardo animale di madre.

Un filo si ruppe,
qui, come altrove.
La sfinge farfalla
richiude le ali
volgendo all’autunno
il frutto maturo dell'anno.
Senza stupore
alziamo la testa
nel punto che rigano
l’aria celeste
le bianche comete dell’uomo.

Agosto 1965

Da Le posate sul piatto, Edizioni Salvatore Sciascia, 1978

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