LA MORTE DI ELPENORE
I bordelli di Maceió illuminano la mia adolescenza.
Considero uno dei più grandi privilegi della mia vita essere
stato ammesso in essi nella mia giovinezza. Li frequentavo di sera, e arrivavo
quasi sempre nell’istante in cui le puttane, appena uscite dal bagno, si
sporgevano castamente dalle verande davanti al mare e osservavano le navi. Al
profumo di ciclamino dei loro corpi abbronzati si mischiava l’odore
inebriante della salsedine.
In uno di quei postriboli, situati al piano superiore di
vecchie case a schiera che ancora accoglievano depositi di zucchero e botteghe
dagli interni oscuri, capitò la morte di un marinaio, un certo Elpenore.
Contrariamente a quel che dice Omero, Elpenore non cadde dal
tetto del palazzo di Circe. Completamente ubriaco, rotolò dalla scala del
bordello di Meceió e si ruppe il collo. La sua anima scese all’Ade.
Questo deplorevole incidente mi privò, quella sera, del
piacere abituale di respirare, accanto alle puttane della mia città, il profumo
di ciclamino che si mischiava, come un dolce e lungo coito governato dall’afa,
a tutti i profumi dell’Oceano.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da Mar Oceano, Editora Record, 1987
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