LETTERA IN VERSI AL PADRE
Caro papà, ti scrivo in versi per le solite
ragioni di stile ma non col dizionario
dei sinonimi e senza
intenzioni di pubblicazione
o lettura.
Ti scrivo credo per
vigliaccheria – «Papà, c’è
l’inferno?» – e perché non ho
dèi, né cristi né madonne
più importanti di te dall’altra
parte della barricata. Non
credere – ma spero che tu non
pensi, che tu non senta – ch’io
faccia subito, ora, quanto tu
hai sempre temuto per me.
Che paura viene.
Oggi ho rallentato sulle pozzanghere
dell’Ardeatina, ho provato i freni
più volte dopo ogni
guado, pulito i vetri di destra perché
completamente appannati.
Però mi sono chiesto:
«Se uomini soddisfatti o comunque calmi
non hanno saputo costruire cunette
e tombini e rappezzi stradali
in macadam bitumato – ricordi? –, come
posso io col cuore più schiantato che
nel momento della tua morte, non dico
amare o produrre qualcosa
di grande o rasserenarmi
alla noia, ma fare il mio sciocco
lavoro, rispondere alle domande
semplici della gente, farmi
i caffè?».
Caro
papà, io spero
proprio che tu sia morto
del tutto, che non provi quest’altro
dolore che ti do. Parlo a te
giovane, quando ’sta cosa non
m’era avvenuta e tu già
la temevi e ne eri triste
perpetuamente.
Ti chiedo scusa,
scusa sul serio. E ancora: se
mi perdoni, se non ti riguarda, se
non senti più né caldo
né freddo, papà, che cosa
devo fare?
da Tutte le poesie, Europa Edizioni, 2019
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