mercoledì 8 novembre 2023

Benjamin Tammuz

 Ci sono libri nei quali ci si perde, nei quali si entra per perdersi, perché non si vuole più uscirne. Sono quelli che indagano l’anima o il mistero di sé. 

Di ognuno di questi libri offro solo l’incipit, ovvero il primo, o i primi paragrafi; di qualcuno, l’ultimo o gli ultimi, ovvero l’explicit. Spero, per voi che leggerete, che servano d’invito a perdervi in essi.

Posso citarne molti (ovvero, posso citare alcuni di quelli nei quali mi sono perso io, perché forse ognuno ha i suoi). Oggi c'è



IL MINOTAURO


Un tale, che era un agente segreto, parcheggiò in una piazza bagnata dalla pioggia la macchina che aveva preso a nolo, e salì sull’autobus per andare in città.

Quel giorno compiva quarantun anni e, buttandosi su un sedile a caso, chiuse gli occhi sprofondando in tetre meditazioni sulla natura del suo compleanno. Alla prima fermata, l’autobus che rallentava lo riportò alla realtà e vide due ragazze che si sedevano sui sedili liberi davanti a lui. La ragazza di sinistra aveva i capelli color bronzo, bronzo scuro che brillava di riflessi d’oro. I capelli erano lisci e raccolti sulla nuca con un nastro di velluto nero, annodato a fiocco. Il nastro, come i capelli, si distingueva per un senso di fresca pulizia, il genere di pulizia caratteristico delle cose che la mano irrequieta non ha ancora toccato. Chi le ha annodato il nastro con tanta cura, pensò il quarantunenne. Poi attese il momento in cui si sarebbe voltata verso la sua amica; appena lei si girò verso l’amica e lui vide i tratti del suo viso, spalancò la bocca in un urlo soffocato in gola. Forse gli sfuggì. I viaggiatori, in ogni modo, non reagirono.


Traduzione dall’ebraico di Antonio Di Gesù

Da Il minotauro, Edizioni e/o, 1994


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