Ci sono libri nei quali ci si perde, nei quali si entra per perdersi, perché non si vuole più uscirne. Sono quelli che indagano l’anima o il mistero di sé.
Di ognuno di questi libri offro solo l’incipit, ovvero il primo, o i primi paragrafi; di qualcuno, l’ultimo o gli ultimi, ovvero l’explicit. Spero, per voi che leggerete, che servano d’invito a perdervi in essi.
La
luce del sole non era ancora penetrata nel crepaccio. Uno scricciolo mi destò
con la sua voce acuta e cristallina. Faceva un freddo pungente. Sguscia fuori
dal sacco a pelo, recuperai al buio le scarpe e annaspando mi liberai della
zanzariera.
Proprio mentre uscivo all’aperto, i primi
raggi del sole, taglienti come lame, superavano le creste delle montagne a
oriente. Alzai gli occhi socchiusi verso i contorni maestosi e opprimenti del
Casa Grande.
La luce immensa che ora si faceva strada
sopra le cime conferiva all’enorme e compatta parete rocciosa l’aspetto di una
fortezza sinistra, più possente di quelle costruite dall’uomo, una
fortificazione per angeli o demoni che tutte le guarnigioni avevano già
abbandonato.
Quando poi la luce avanzò ulteriormente e
poté giocare libera contro la parete opposta, quella occidentale, i ritti
pilastri solitari nelle formazioni di arenaria si trasformarono in canne
d’organo, un organo di luce, in cui vibravano tutti i colori rossastri della
roccia.
E ora, attraverso la finestra semiaperta
che si scuote sui suoi cardini, udiamo che sono le sette.
Traduzione
di Carmen Giorgetti Cima
Da
Morte di un apicultore, Iperborea, 1989
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