mercoledì 1 novembre 2023

Lars Gustafsson

 Ci sono libri nei quali ci si perde, nei quali si entra per perdersi, perché non si vuole più uscirne. Sono quelli che indagano l’anima o il mistero di sé. 

Di ognuno di questi libri offro solo l’incipit, ovvero il primo, o i primi paragrafi; di qualcuno, l’ultimo o gli ultimi, ovvero l’explicit. Spero, per voi che leggerete, che servano d’invito a perdervi in essi.

Posso citarne molti (ovvero, posso citare alcuni di quelli nei quali mi sono perso io, perché forse ognuno ha i suoi). Dopo quelli della settimana scorsa, eccone altri tre dello stesso autore:


MORTE DI UN APICULTORE


La luce del sole non era ancora penetrata nel crepaccio. Uno scricciolo mi destò con la sua voce acuta e cristallina. Faceva un freddo pungente. Sguscia fuori dal sacco a pelo, recuperai al buio le scarpe e annaspando mi liberai della zanzariera.

    Proprio mentre uscivo all’aperto, i primi raggi del sole, taglienti come lame, superavano le creste delle montagne a oriente. Alzai gli occhi socchiusi verso i contorni maestosi e opprimenti del Casa Grande.

    La luce immensa che ora si faceva strada sopra le cime conferiva all’enorme e compatta parete rocciosa l’aspetto di una fortezza sinistra, più possente di quelle costruite dall’uomo, una fortificazione per angeli o demoni che tutte le guarnigioni avevano già abbandonato.

    Quando poi la luce avanzò ulteriormente e poté giocare libera contro la parete opposta, quella occidentale, i ritti pilastri solitari nelle formazioni di arenaria si trasformarono in canne d’organo, un organo di luce, in cui vibravano tutti i colori rossastri della roccia.

    E ora, attraverso la finestra semiaperta che si scuote sui suoi cardini, udiamo che sono le sette.

 

Traduzione di Carmen Giorgetti Cima

Da Morte di un apicultore, Iperborea, 1989


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