venerdì 24 novembre 2023

Francesco Dalessandro

 UNO SCOGLIO NEL VIVO DEL NAUFRAGIO

 

La dilezione audace del ricordo

 

1.

 

Adolescente precoce nel verso –

e nel vizio: ho imparato da te,

misi a frutto così le tue lezioni

di respiro: in apnea mentre la lingua

danzava sulle labbra appena schiuse

e sapide, guizzava sulla pelle,

con la punta tracciava il breve solco

tra soglia e inarcatura nel verso

giusto tra ispirazione e espirazione.

 

 

2.

 

Un addio fra milioni di parole. 

Fra i libri, com’è giusto. Là il poeta

e la musa si sono separati:

poche sillabe come analfabeti.

Nascosti: lui con gli occhi nel bicchiere,

lei dietro lenti scure,

a confessarsi solo mezze colpe.

Anche i poeti mentono: è nel cuore

che non si lascia leggere l’astuta

verità. Circospetta ma impudica,

la bugia.

Disse: «Non potrai deludermi».

Però sbagliava: della delusione

di più sicuro cosa c’è in amore?

 

 

3. 

 

Senza essersi davvero mai uniti

si sono separati. Il giorno è presto

prossimo alla sua fine, alla sua frode

di gentilezza e cortesia.

                                           «Anche questa

sera ricorderemo: scenderei

con te al mio fianco lungo riva

come allora, direi:

                                  “alla deriva

abbandonami, all’acqua, o lungo strade

d’erba come d’estate fanno ai cani”».

 

 

4.

 

Non superai la prova della fronte

che mi desti da baciare... 

 

Chi è «infecondo e inadatto» lo è sempre,

massime negli addii: perché negare

talenti che Natura generosa

ci ha elargito?

 

 

5.

 

(Su, cuore, prendi fiato se davvero

vuoi vedere la vasta geografia

del suo corpo, respira piano a pieni

polmoni e scendi intero nel silenzio

e nella cieca notte dove solo 

se il verde lume pallido degli occhi

si accende tu avrai luce, luce e vita;

su, prendi fiato, immergiti, va’ giù,

e non temere né lunghi altipiani

dirupi e precipizi di catene

montuose né derive aspre correnti 

o tempeste del mare, non temere

estuari e golfi dove si nasconde

morte ma affonda nel suo cuore, cuore).

 

 

6. La sua storia

(parla lei)

 

«Mi ci spinse mia madre al matrimonio.

Fece uno scambio, come nel Zivago:

lei rinunciava, io ne prendevo il posto.

Disse: “È per il tuo bene”. Però, bada,

Gabriele mi amava, a modo suo.

Un po’ l’amavo anch’io: dovevo a lui

se avevo avuto infanzia e adolescenza,

se vantavo benessere e cultura.

Penso che in fondo rivolesse solo

la giovinezza di mia madre: io ero

la parvenza di quel che aveva perso.

Lo capivo da come mi guardava.

Come una buona moglie qualche volta

ci andavo a letto: non fu mai sgradevole…

 

«Non è mai disdicevole l’amore

e lui sapeva amarmi, a modo suo.

Era poco? Ma io non conoscevo,

dell’amore, che quell’intensità

delimitata, tiepida, seconda...

Sognavo la passione, ma ignorando

cosa volesse dire aver perduto

la testa... (Ora lo so, me l’ha insegnato

l’indifferenza tua di adolescente

annoiato). Un amante? Ma perché?

Per duplicare impegni e delusioni?

Gabriele stesso ne sarebbe stato

lieto, forse: perché gli avrei evitato

quegli stanchi doveri coniugali...  

 

«La sua morte fu anche la mia fuga

dai Piombi, dove m’ero imprigionata.

Era il suo mondo la vera prigione:

quella mondanità fatta d’incontri

e cene con la vecchia nobiltà

romana… Esasperante!  Mi sfinivano

le sue lunghe riunioni di famiglia,

il fatuo conversare dei parenti,

le zie, la nonna, i racconti di caccia…

E il sarcasmo di quella gran bagascia

pentita di sua madre che teneva

tutti nelle sue grinfie? Non riuscivo

più a sopportarlo. Però, per fortuna,

con lui per loro sono morta anch’io».

 

 

7.

 

Se lo sguardo tradiva il disamore…

«Dopo la storia il sogno: dove ho perso

la liaison? 

Cosa vuoi dirmi o vuoi significare

senza dirlo?»

                       La notte

scendeva lenta dietro il Vaticano

a spegnere i ricordi e quelle strane

confidenze da amante sazia dopo

l’amore. La tua voce così calda

e vibrante di pathos che s’incanta.

«Lui non era l’arcangelo Gabriele,

il nunzio delle mie benedizioni,

né tu sei il poverello il francescano

lasciato solo a guardia del portone...».

 

 

8.

 

«Avrai fame di me quando avrò fame

di te?».

              Potevo stringerti o tenermi

aggrappato al tuo collo scivolando

nel tunnel dei cattivi sentimenti.

Non è stato alla fine dell’amore

che provammo paura ma al risveglio

del primo giorno, quando aprendo gli occhi

scoprimmo di non essere (più) soli.

Subito il sole mise in luce i nostri

egoismi.

                Trovarci ancora nudi

nel reciproco abbraccio parve allora

una promessa di felicità.

Fu invece la premessa ad una storia

scritta male, malnata, anche malsana.

 

 

9.

 

«Quei versi sono rena senza calce.

Solo una pena postuma, di carta».

Parlavi di un poeta appena morto.

E io non t’ascoltavo.

 

«Ma la poesia – un giorno capirai –

nasce sempre dal solco che il dolore

ara nella coscienza e la memoria

semina nella mente silenziosa…

 

«Se un giorno ora lontano leggerò 

su quest’amore versi tuoi saprò

che i miei spasimi d’oggi avranno avuto

una ragione e forse ne avrò pace

accettando come ora non so fare

la crudeltà del tuo abbandono…».

 

 

10.

 

Non ero io l’amore che vedesti

venirti incontro su quel ponte:

ne ero la proiezione, il simulacro –

l’amore adolescente non concesso

alla tua adolescenza.

Ero troppo in ritardo.

Tu mi amasti in anticipo. Vedevo

in te la dea che si offre al pastorello

sui declivi dell’Ida: per difetto

di cultura e perché la tua eleganza

(così Campana, ora lo so) era l’arco

teso della bellezza che mi uccise.

 

 

11.

 

Se ti penso nel sulfureo pomeriggio

di luglio aspettarmi sul ponte

la tua immagine è chiara ma non trovo

il filo del pensiero che traeva

i miei passi ai tuoi occhi, verde sguardo

di sgusciante lucertola nascosto

dietro lenti da sole.                            

                                    In basso l’acqua

trascina come allora

verso l’isola schiuma di realtà.

                               

Ora che invano cerco una scialuppa

di salvataggio, uno scoglio nel vivo

del naufragio...

 

 

12.

 

Se poi il mondo finisce nei tuoi occhi

disperati – lo vedo se mi sporgo

sul lago che essi sono – neanche questo

potrò dimenticarlo. Non è l’oro

del silenzio prezioso ma la voce

d’argento che sussurra quando il sonno

tarda a venire, come polla d’acqua

o pioggia fresca sulle grasse foglie

della magnolia in un giorno d’estate.


da Camminando, Il Labirinto, 2023

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