UNO SCOGLIO NEL VIVO DEL NAUFRAGIO
La
dilezione audace del ricordo
1.
Adolescente precoce nel verso –
e nel vizio: ho imparato da te,
misi a frutto così le tue lezioni
di respiro: in apnea mentre la lingua
danzava sulle labbra appena schiuse
e sapide, guizzava sulla pelle,
con la punta tracciava il breve solco
tra soglia e inarcatura nel verso
giusto tra ispirazione e espirazione.
2.
Un addio fra milioni di
parole.
Fra i libri, com’è giusto. Là il
poeta
e la musa si sono separati:
poche sillabe come analfabeti.
Nascosti: lui con gli occhi nel
bicchiere,
lei dietro lenti scure,
a confessarsi solo mezze colpe.
Anche i poeti mentono: è nel
cuore
che non si lascia leggere
l’astuta
verità. Circospetta ma impudica,
la bugia.
Disse: «Non potrai deludermi».
Però sbagliava: della delusione
di più sicuro cosa c’è in amore?
3.
Senza essersi davvero mai uniti
si sono separati. Il giorno è
presto
prossimo alla sua fine, alla sua
frode
di gentilezza e cortesia.
«Anche
questa
sera ricorderemo: scenderei
con te al mio fianco lungo riva
come allora, direi:
“alla deriva
abbandonami, all’acqua, o lungo
strade
d’erba come d’estate fanno ai
cani”».
4.
Non superai la prova della
fronte
che mi desti da baciare...
Chi è «infecondo e inadatto» lo
è sempre,
massime negli addii: perché
negare
talenti che Natura generosa
ci ha elargito?
5.
(Su, cuore, prendi fiato se davvero
vuoi vedere la vasta geografia
del suo corpo, respira piano a pieni
polmoni e scendi intero nel silenzio
e nella cieca notte dove solo
se il verde lume pallido degli occhi
si accende tu avrai luce, luce e vita;
su, prendi fiato, immergiti, va’ giù,
e non temere né lunghi altipiani
dirupi e precipizi di catene
montuose né derive aspre correnti
o tempeste del mare, non temere
estuari e golfi dove si nasconde
morte ma affonda nel suo cuore,
cuore).
6. La
sua storia
(parla lei)
«Mi ci spinse mia madre al matrimonio.
Fece uno scambio, come nel Zivago:
lei rinunciava, io ne prendevo il posto.
Disse: “È per il tuo bene”. Però, bada,
Gabriele mi amava, a modo suo.
Un po’ l’amavo anch’io: dovevo a lui
se avevo avuto infanzia e adolescenza,
se vantavo benessere e cultura.
Penso che in fondo rivolesse solo
la giovinezza di mia madre: io ero
la parvenza di quel che aveva perso.
Lo capivo da come mi guardava.
Come una buona moglie qualche volta
ci andavo a letto: non fu mai sgradevole…
«Non è mai disdicevole l’amore
e lui sapeva amarmi, a modo suo.
Era poco? Ma io non conoscevo,
dell’amore, che quell’intensità
delimitata, tiepida, seconda...
Sognavo la passione, ma ignorando
cosa volesse dire aver perduto
la testa... (Ora lo so, me l’ha insegnato
l’indifferenza tua di adolescente
annoiato). Un amante? Ma perché?
Per duplicare impegni e delusioni?
Gabriele stesso ne sarebbe stato
lieto, forse: perché gli avrei evitato
quegli stanchi doveri coniugali...
«La sua morte fu anche la mia fuga
dai Piombi, dove m’ero imprigionata.
Era il suo mondo la vera prigione:
quella mondanità fatta d’incontri
e cene con la vecchia nobiltà
romana… Esasperante!
Mi sfinivano
le sue lunghe riunioni di famiglia,
il fatuo conversare dei parenti,
le zie, la nonna, i racconti di caccia…
E il sarcasmo di quella gran bagascia
pentita di sua madre che teneva
tutti nelle sue grinfie? Non riuscivo
più a sopportarlo. Però, per fortuna,
con lui per loro sono morta anch’io».
7.
Se lo sguardo tradiva il
disamore…
«Dopo la storia il sogno: dove
ho perso
la liaison?
Cosa vuoi dirmi o vuoi significare
senza dirlo?»
La notte
scendeva lenta dietro il Vaticano
a spegnere i ricordi e quelle strane
confidenze da amante sazia dopo
l’amore. La tua voce così calda
e vibrante di pathos che s’incanta.
«Lui non era l’arcangelo Gabriele,
il nunzio delle mie benedizioni,
né tu sei il poverello il francescano
lasciato solo a guardia del portone...».
8.
«Avrai fame di me quando avrò fame
di te?».
Potevo stringerti o tenermi
aggrappato al tuo collo scivolando
nel tunnel dei cattivi sentimenti.
Non è stato alla fine dell’amore
che provammo paura ma al risveglio
del primo giorno, quando aprendo gli occhi
scoprimmo di non essere (più) soli.
Subito il sole mise in luce i nostri
egoismi.
Trovarci ancora nudi
nel reciproco abbraccio parve allora
una promessa di felicità.
Fu invece la premessa ad una storia
scritta male, malnata, anche malsana.
9.
«Quei versi sono rena senza calce.
Solo una pena postuma, di carta».
Parlavi di un poeta appena morto.
E io non t’ascoltavo.
«Ma la poesia – un giorno capirai –
nasce sempre dal solco che il dolore
ara nella coscienza e la memoria
semina nella mente silenziosa…
«Se un giorno ora lontano leggerò
su quest’amore versi tuoi saprò
che i miei spasimi d’oggi avranno avuto
una ragione e forse ne avrò pace
accettando come ora non so fare
la crudeltà del tuo abbandono…».
10.
Non ero io l’amore che vedesti
venirti incontro su quel ponte:
ne ero la proiezione, il simulacro –
l’amore adolescente non concesso
alla tua adolescenza.
Ero troppo in ritardo.
Tu mi amasti in anticipo. Vedevo
in te la dea che si offre al pastorello
sui declivi dell’Ida: per difetto
di cultura e perché la tua eleganza
(così Campana, ora lo so) era l’arco
teso della bellezza che mi uccise.
11.
Se ti penso nel sulfureo
pomeriggio
di luglio aspettarmi sul ponte
la tua immagine è chiara ma non
trovo
il filo del pensiero che traeva
i miei passi ai tuoi occhi,
verde sguardo
di sgusciante lucertola nascosto
dietro lenti da sole.
In basso l’acqua
trascina come allora
verso l’isola schiuma di realtà.
Ora che invano cerco una
scialuppa
di salvataggio, uno scoglio nel
vivo
del naufragio...
12.
Se poi il mondo finisce nei tuoi occhi
disperati – lo vedo se mi sporgo
sul lago che essi sono – neanche questo
potrò dimenticarlo. Non è l’oro
del silenzio prezioso ma la voce
d’argento che sussurra quando il sonno
tarda a venire, come polla d’acqua
o pioggia fresca sulle grasse foglie
della magnolia in un giorno
d’estate.
da Camminando, Il Labirinto, 2023
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