lunedì 6 febbraio 2012

John Keats


ODE A FANNY

I
Natura guaritrice, che lo spirito sanguini!
Allevia il cuore dai versi, lascia che riposi,
sul tuo tripode gettami finché la soffocante
onda del ritmo rifluisca dal mio petto colmo.
Un tema, un tema! Grande natura,
dammi un tema e cominci il mio sogno.
Vengo – ti vedo, là in piedi,
invitarmi ad uscire nell’aria invernale.

II
Ah, carissimo amore, dolce casa delle mie paure,
di speranze, di gioie e d’ansimi sofferti,
t’immagino, stanotte, vestire la bellezza
di quel delizioso sorriso
così brillante, così luminoso –
che vidi con occhi rapiti, dolenti, tuoi schiavi,
persi nel soffice sogno,
e che m’incantò, m’incantò.

III
Chi, ora, con avide occhiate, divora il mio pasto?
Quale sguardo ora sfida la mia luna d’argento!
Ah, non farti nemmeno toccare la mano;
lascia che brucino gli innamorati,
ma, ti prego, non deviare così presto
da me la corrente del tuo cuore:
per carità, conserva
per me i battiti più rapidi.

IV
Conservali per me, dolce amore, sebbene la musica
diffonda visioni voluttuose nell’aria calda
e tu nuoti tra le pericolose ghirlande del ballo:
sii come un giorno d’aprile,
sorridente, freddo e gaio,
un giglio modesto, modesto quanto bello;
ma, oddio, serba per me
il giugno più caldo.

V
Poiché dirai, Fanny, che niente c’è di vero,
metti la morbida mano sul tuo seno di neve,
dove ti batte il cuore, e ammettilo – che è noto:
non dev’essere una donna
una piuma sospinta dal vento
qua e là sulle onde del mare,
e dalla vita incerta
come il soffione nel prato?

VI
Lo so – e saperlo è la disperazione
per chi ti ama come me, dolce Fanny,
col cuore che ovunque ti segue palpitando,
e che quando te ne vai
non osa restare nella casa abbandonata:
l’amore, solo l’amore ha tante aspre pene;
perciò, amata, liberami tu
dal tormento di questa gelosia.

VII
Ah, se l’anima apprezzi, che ti è sottomessa,
più del misero, vano, breve orgoglio di un’ora,
non far profanare la santa sede del mio amore,
o che spezzi una ruvida mano
la torta sacramentale:
mantieni intatto il fiore appena sbocciato;
altrimenti si chiudano, amore,
i miei occhi per l’ultimo sonno.



Traduzione di Francesco Dalessandro

John Keats, Poetical Works, Oxford University Press, 1972  




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