lunedì 6 dicembre 2021

Pere Gimferrer

 APPARIZIONI


I

 

Il sogno non sempre ha colore o movimento.

È uno stato, talvolta. Il sogno di stanotte

era verde e silenzioso come l’acqua

e come l’acqua oscuro, o solo il brusio

di cosa viva, che fluisce sotto il cielo.

Però il cielo mentale che si vede

nella visione degli occhi interiori:

non la vista dei sensi, né il ricordo

della vista dei sensi; non il tremulo colore

di una nube sanguinante, ma un’eco

rossastra di luce che ha fiato ancora

quando il tramonto muore. Era uno stato

il sogno di stanotte. Non il centro,

ma il limite, i confini del mondo.

Sostenendo l’oggetto, prima d’avere oggetti;

prima che esista l’io, prima dell’istante

in cui dirò «Io sono», e ancora sarà sogno,

ma sentendo, nel sogno, che se lo ricordo

aprendo gli occhi, saprò che già esistevo.

Niente ancora poteva interessarmi

perché non ero un essere: ero solo

uno stato, un’attesa. In quelle notti

di tardo inverno, a volte cade, obliqua,

una pioggia finissima. Rinfresca

e il cielo è un faro di porpora bruna,

le strade vuote paiono d’altri tempi.

Pioveva così, scendendo dolcemente,

col senso di morte che dalle vetrine

cancella la pioggia delle città di ieri.

Intendo dire quel tipo di stato

di chi non sa se è vita o se è ricordo

l’istante stesso che ora sta vivendo,

senza stimoli, senza sentire che qualcosa

bisognerà lasciare, o che qualcosa

ci appartiene. Non staccarsi né tenere.

Ero chi ancora non può dire d’aver nome.

In agguato, in attesa della sua identità:

come acqua corrente, o acqua trattenuta,

identica al metallo in cui presto cadrà.

Luce d’acqua confusa con luci di metallo:

metallo doppio, agli occhi, metallo

d’acqua, e metallo della mente e dei sensi,

luce priva di luce, idea di luce.

Perché il tema del sogno è idea dell’io.

Confusamente, sentivo che nel chiarore

immobile e verdastro io proiettavo

nei gesti l’ombra di quello che sono.



 Traduzione di Francesco Dalessandro

 

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