APPARIZIONI
III
Passavano buoi scuri
sulla strada
quando mi fermai ad
ascoltare. Le lettere
liquide e luminose del
distributore,
il rastrello sottile
di un grillo. Si spargeva
olio sulla notte.
Ma là il mondo non
c’era,
e c’era più che mai:
suonava in lontananza
un corno da caccia.
Io conosco
la notte
sintetica, prigione di
plastica ardente,
gelido e soffocante
bagliore che respira
per opprimermi il
petto. Ma il silenzio
si definisce in
termini di notte naturale:
la notte della terra
prima dell’uomo, notte
dell’uomo prima d’essere.
Respirare, ma piano,
quasi non respirando,
come se respirare
fosse l’unico vivere,
e come se la vita
non bastasse per
sentirci respirare.
Sentire che il mondo
respira? Sì, a volte,
da un’altura, un’idea
di potenza,
forse di pace che
riconcili il mondo
con la sua apparenza.
Da dentro a fuori,
una strada che separa
quel che unisce:
gli estremi di ciò che
è e di ciò che vediamo.
Pulsa come un motore
lontano nella notte,
non smette mai. Farsi
sordo, scappare
da quel rumore, come
una preda nuda
dalla gola del vuoto,
dalle fauci della notte
che ansima e si muove.
Non inghiottito:
a distanza, sospeso,
senza centro, saltar fuori
dal centro, vedere il
mondo che respira.
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