mercoledì 22 dicembre 2021

Pere Gimferrer

 APPARIZIONI


VIII

 

Il querceto, il caprifoglio,

il cedro poderoso,

il lillà pechinese,

lo splendore violento dell’aconito in estate,

il roseto sotto il sole,

la nebbia rossa dei melograni,

il riverbero dello sguardo,

la chiesa delle mele verdi,

il colore delle canne al vento,

la parola del fango e del pantano,

il carrubo ardente,

calendula e begonia,

il garofano della luce più bianca,

i roveti,

il fiume che parla come muschio,

la pianta che parlando respira,

camminando in un silenzio fatto di vibrazioni,

avanzando nell’acqua,

come il vento,

quando il chiarore ci inebria e trasfigura,

fusi col rosso delle nubi,

tutto le lance distruggono:

lo steccato e il sentiero,

la pera azzurra sotto un cielo iridescente

quando annotta,

l’edera offuscata e tragica,

il pepe che si corrompe,

i crepuscoli d’acqua,

le lance distruggono tutto, sulle strade

risuona un cigolio aspro di ruote

di carrozze morte, di legname e carcasse,

odore di sandalo marcio,

lividore d’alberi saccheggiati,

lance di luce e d’oro,

saccheggio del pisello o del nespolo,

fulgore di selvaggina e vecchi fucili,

il padiglione di caccia,

un pergolato scuro,

il corpo di una donna che è un inferno di seta,

umido come le foglie bruciate

in un bosco a novembre quando la luce

ha il colore e il sapore della cenere

e dai tronchi trasudano resina e altri umori

che sanno di radici e di frutta marcita,

che hanno un gusto d’urina femminile,

calda e perlata come una notte d’ambra,

e il gusto dei ricordi dell’estate

quando le lance arano le stoppie dell’inverno.

 

Ieri ho visto un’apparizione:

di notte, sotto il portico, la regina dei campi

e dei frutteti, regina dei doni

e delle offerte. Quando l’equinozio

dissolve queste nebbie,

quando il raccolto è un fiume di pannocchie

e di sangue fruttescente,

quando la falce taglia l’aria liscia come un anello,

eccola, la regina

dei falò e dei cantoni;

regina delle ghirlande e della linfa,

del fiore e del frutto;

regina nuda come un fuoco fatuo

vestita col mantello imperiale dei boschi;

regina dell’acqua e dei tronchi,

invocata ai focolari con carbone e brace,

colei che, quando annotta, reclamano dai crocchi

quelli che sono ormai solo una voce nella notte.

Regina del tempo e dei dintorni,

ferita ardente

nella pelle viva del chiarore;

regina d’oro alle nozze degli alberi,

della luce che palpita nella grotta;

regina del canto intonato dai salici;

regina del seme di luce,

dell’olivo e delle voci della vite;

regina dello splendore del campanile,

sentita nel petto come un suono di campana

chiaro e luminoso che ricordiamo

quando il sonno spande vetri di tenebra.

 

Questo rumore, così tenue

da non essere un rumore,

morbido come pelle di magnolia;

questo chiarore opaco, qualcosa che dà un suono

profondo come l’ombra di un giardino,

qualcosa che ricordiamo dopo avere vissuto;

questo rumore che rischiara

e che ci fa più luminosi,

rumore di stagioni e oscurità,

ciò che forse saremo, rumore d’acqua morta,

d’occhi di donna quando albeggia,

dolci come una mandorla nel buio;

è il rumore del tuo ventre che tocca

le mie labbra, tiepido come profumo

di cannella respirata nella notte;

è la voce del mondo e dei raccolti,

i canestri della luce estiva e invernale,

il piombo dell’autunno, la primavera bianca,

i roveti ed il miele,

gli alberi di fico in fiore;

il rumore che ci ascolta se l’ascoltiamo,

come la terra o il nostro passato,

quel che ci darà un mondo di foreste,

di trasparenze e apparizioni;

è il rumore di questa vita che trema,

la fiamma oscura che ci portiamo in petto,

unico dono della vita, pallido

e fragile, che noi chiamiamo amore.


Traduzione di Francesco Dalessandro

 

 


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